In principio, era il one man show.
Si inizia da soli, ci si improvvisa in ogni ruolo richiesto, adattandosi a soddisfare tutte le esigenze che si presentano nella quotidianità degli albori di una nuova esperienza lavorativa, sia essa da libero professionista, sia essa da start-upper.
Piano piano, però, si diventa bravi, si imparano i trucchi del mestiere (o dei mestieri) e ci si convince di essere gli unici in grado di fare determinate cose, o di saperle farle bene.
Dopo aver affrontato la motivazione allo studio, la motivazione a intraprendere e a fare, il livello di motivazione successivo del professionista è quello a delegare.
Decidere di lasciare in mano altrui una parte del proprio lavoro è uno sforzo mentale necessario alla crescita.
Il one man show non può durare per sempre.
Motivare i propri dipendenti: i fattori coinvolti.
La crescita della propria organizzazione, in certi casi, porta con sé un successivo livello di motivazione: quella dei propri dipendenti e collaboratori.
Molti professionisti e imprenditori si chiedono come motivare il proprio team di lavoro, sbagliando a porsi la domanda.
Ogni persona ha intrinsecamente una motivazione, quindi la giusta domanda da porsi è quale sia la motivazione individuale di ciascuno, seguita da quale sia il modo migliore per dare a questa la libertà di espressione.
Kimberly Schaufenbuel, che alla UNC Kenan Flagler Business School ha diretto un programma sulle neuroscienze della motivazione, ha evidenziato che le persone siano influenzate da quattro fattori: il desiderio di conquista, il desiderio di difendere, il desiderio di legarsi e il desiderio di apprendere.
Capire quale sia il fattore che motiva ciascuno dei propri dipendenti permette di creare un ambiente che sia stimolante per tutti.
Cos’è la motivazione?
Iniziando da cosa non sia la motivazione, sicuramente non è la soddisfazione. La soddisfazione è la zona di comfort, è quella che i pugliesi definirebbero in tre lettere con un “meh”.
Altrettanto indubbiamente, la motivazione non è la felicità. Si può benissimo essere felici al lavoro, per motivi legati ad un rapporto di amicizia o ad un bell’ufficio, ma non per forza questo si traduce in motivazione e in realizzazione delle necessità e delle aspettative dei superiori.
La motivazione è la connessione emotiva verso l’organizzazione e i suoi obiettivi.
Tre livelli di motivazione.
I dipendenti motivati hanno profonda connessione con la realtà lavorativa, sono loro stessi motivazionali per gli altri e trainano l’organizzazione.
I dipendenti non motivati, invece, sono quelli che alle 18 “fanno cadere la penna”, che tirano la fine della giornata, che si regolano in base alle ore da trascorrere al lavoro e che non mettono passione in ciò che fanno.
Ci sono persone, però, concretamente demotivate: sono quelle persone infelici al lavoro ed attivamente impegnate a farlo sapere agli altri. Ogni giorno, queste persone minano i risultati ottenuti dai propri colleghi motivati.
Il passo in più.
Il dipendente motivato è quello che fa il passo in più, quello che si sente in linea con i valori della propria organizzazione e che se ne fa promotore.
Il dipendente motivato tratterà il cliente delle 17.50 con la stessa gentilezza con cui ha trattato il cliente delle 9.30.
Un alto livello di motivazione tra i dipendenti si traduce in una diminuzione del turnover, delle assenze e degli infortuni, di pari passo con un aumento delle vendite, della produttività e, quindi, con il valore dell’azienda.
Eppure, nonostante tutti i chiari benefici che la motivazione porta alle organizzazioni, a livello mondiale i dipendenti motivati non superano il 13% (fonte: Gallup).
Come favorire la motivazione.
Se, da un lato, l’adeguata gestione della leadership è cruciale per la motivazione dei dipendenti, a questi devono essere forniti obiettivi da raggiungere, che siano al contempo realistici e misurabili.
Il leader deve mantenere la responsabilità sul raggiungimento degli obiettivi, nell’ottica di capire cosa non abbia funzionato e di individuare i margini di miglioramento.
Fondamentale per il miglioramento è la comunicazione. Il leader deve saper comunicare in maniera efficace ed, allo stesso modo, la comunicazione deve funzionare in modo trasversale a tutti i livelli dell’organizzazione: è molto difficile motivare una persona che si sente esclusa.
Va sottolineata l’importanza del feedback, affinché le persone abbiano coscienza del proprio apporto, così come del riconoscimento del lavoro. Alcune persone preferiscono essere complimentate in privato, altre preferiscono un riconoscimento pubblico: solo comunicando ed imparando a conoscere ciascuno, si può soddisfare al meglio questa necessità.
Per le persone motivate dal desiderio di apprendere, è fondamentale avere a disposizione un programma di formazione, o quantomeno occasioni per imparare.
Se mettersi alla prova ed essere coinvolti in ambiti estranei al proprio ruolo, stimolando la propria creatività, è una questione fondamentale per Millennial e Generazione X, cioè le persone nate dagli anni ’80 in avanti, la possibilità di decidere e di autodeterminarsi entro certi limiti è importante per qualsiasi dipendente.
I soldi non sono tutto.
La prima soluzione che, la maggior parte delle volte, viene alla mente quando si pensi a come motivare i propri collaboratori, è l’incentivo economico.
Nella realtà, i dati (ricerche Hays) dimostrano che il 74% dei lavoratori più giovani accetterebbero una riduzione di stipendio pur di lavorare in un ambiente favorevole.
Il giusto terreno per far fiorire la motivazione, quindi, va cercato in altro. Forse, la chiave sta proprio nei rapporti umani e nella comunicazione con gli altri.