Il business plan di un libero professionista

Perché i professionisti hanno bisogno di un business plan?

“Il business plan è cosa da start up. Io non sono mica un’azienda!”

Questo è, più o meno, quello che risponderebbe un professionista a cui si chieda se di business plan ne abbia redatto uno per sé, almeno abbozzato.

Il business plan, secondo un libero professionista, serve agli altri, tutt’al più serve ai propri clienti.

Eppure, non è propriamente così.

Il primo passo dopo l’abilitazione

Chi abbia intenzione di non proseguire nello studio presso il quale ha svolto la pratica, prima di prendere la decisione definitiva dovrebbe dedicare del tempo alla comprensione di ciò che desidera.

Per alcuni professionisti, il titolo è il sogno di una vita, guadagnato faticosamente dopo anni di studio e, spesso, di lavoro sottopagato.

Per altri, il titolo è una svolta di vita, che arriva dopo aver sbarcato per anni il lunario con attività di ripiego, relegando lo studio nelle ore notturne o nei weekend.

Per altri ancora, il titolo arriva in fretta, dopo un percorso lineare e talmente rapido da essere quasi inaspettato.

Per tutti, il titolo è, al pari del diploma o della laurea, uno di quei traguardi di vita raggiunti i quali vale la pena fermarsi un attimo per meglio definire quale sia la nuova meta, prima di rimettersi in cammino.

Un cambio città

Cambiare città comporta un cambio di paradigma, soprattutto se si passi dalla città alla provincia, o viceversa, o addirittura si cambi regione.

Cambiano i centri di interesse, cambia la mentalità, banalmente cambiano i prezzi e di conseguenza le aspettative delle persone.

L’attività professionale non è un negozio di fiori, che potrebbe essere uguale in qualsiasi città e qualsiasi contesto.

L’attività professionale vive e prospera se è in sintonia con l’ambiente in cui si trova, e quindi è doveroso trovare la giusta nota per permettere di vibrare in armonia con esso.

La separazione da un socio

Se vuoi andare veloce, vai da solo, se vuoi andare lontano vai insieme.

Questa è la brutta una traduzione di una bella frase in inglese, che potrebbe aiutare a decidere tra l’attività da solisti o quella da associati.

Sicuro è che il mercato oggi va sempre di più verso le associazioni professionali, soprattutto se multiprofessionali: commercialisti e consulenti del lavoro, avvocati e commercialisti, ma anche più notai associati o più avvocati associati.

Il momento in cui ci si separa è quello in cui l’antico brocardo latino (si scherza) che recita: “abbiamo sempre fatto così” potrebbe essere, a seconda dei casi, un’ancora di salvataggio o, al contrario, una scomoda costrizione che ricorda un fastidioso legame con il passato.

Separandosi, ma lo stesso vale anche per il caso dell’associazione, si ricomincia. Ognuno con il proprio bagaglio di competenze, delusioni, aspettative.

Da dove partire? Dal business plan del libero professionista

Qualunque sia il motivo del cambiamento, la prima cosa da fare è avere ben chiaro l’obiettivo.

Qualcuno potrebbe dire che l’obiettivo sia “lavorare”, e potrebbe anche già essere qualcosa, in alcuni casi, ma “lavorare”, nel business plan di un libero professionista professionista, è il mezzo, non il fine.

“Lavorare” non può neanche essere una speranza, e la speranza non può essere il metodo prescelto per presentarsi al mercato.

Più che come piano industriale, per molti professionisti che partono da zero, le parole business plan potrebbero essere tradotte come “piano di battaglia”.

Dove voglio arrivare? In quale tempo? Che risorse ho a disposizione, in termini economici, di personale e di tempo?

Il business plan di una start-up alla ricerca di angel investor  o di finanziamenti pubblici o privati richiede numeri; il business plan di un libero professionista, per quanto assurdo possa sembrare, richiede idee, prima dei numeri.

Come continuare? Con il business plan del libero professionista

Una volta definito il piano di attacco, cioè dove si desideri andare, in che modo e in quanto tempo, occorre rifare tutto daccapo.

Sì, perché quando si esce sul mercato, che sia la prima volta in assoluto, la prima volta in una nuova città o la prima volta con o senza un socio, non si può mai sapere cosa succederà.

Un po’ come quando si hanno aspettative, la realtà è sempre diversa.

Per questo motivo, il business plan deve essere uno strumento in continua evoluzione: con la realtà, con le tendenze e con se stessi.

A cosa guardare?

Un buon business plan, anche se solo abbozzato e non del tutto dettagliato, deve tenere presente alcuni elementi predeterminati.

Se il tipo di attività è già decisa – il consulente del lavoro farà il consulente del lavoro, il commercialista farà il commercialista e l’avvocato farà l’avvocato – è pur vero che all’interno di ogni professione è possibile trovare una nicchia di specializzazione e, quindi, di mercato a cui fare riferimento.

A chi ci si rivolge, quindi? Con quali mezzi?

Un business plan ha tanto marketing al suo interno, un altro elemento spesso completamente ignorato dai professionisti.

Una strategia definita è meglio di una strategia abbozzata, e una strategia abbozzata è meglio di una strategia che non c’è.

Ma anche solo un obiettivo più dettagliato di “lavorare” può fare la differenza.

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