Se hai provato a redigere un business plan, probabilmente hai capito che non c’è nulla di certo.
I ricavi sono immaginari, sperati, ipotetici.
I primi numeri che sono comparsi nel tuo foglio Excel sono stati quelli legati ai costi, gli unici numeri che hanno un qualcosa di sicuro.
Il termostato
In numerosi libri che trattano di educazione finanziaria si fa riferimento al termostato finanziario.
Si riporta alla mente l’immagine di una stanza, con un termostato impostato ad una certa temperatura.
Fintanto che le condizioni non cambiano, il termostato fa il suo dovere e mantiene la temperatura.
Se qualcuno aprisse una finestra o una porta, causando un abbassamento della temperatura, il termostato si rimetterebbe al lavoro per riportare la temperatura nella stanza a quella stabilita.
La nostra mente funziona esattamente allo stesso modo: una volta determinato quale sia il reddito, mensile o annuo, che ci permette di mantenere il nostro stile di vita, automaticamente ci mettiamo nelle condizioni di mantenerlo: nuovi clienti, collaborazioni, nuovi progetti.
Il break even point (BEP)
Il principio del termostato può trovare applicazione anche in ambito “aziendale”, se così vogliamo definire anche gli studi professionali.
Posti i costi, che, come detto all’inizio, sono i più facili da determinare, è possibile individuare il break even point, cioè il momento in cui i costi pareggiano i ricavi, e viceversa.
Il break even point è la situazione di pareggio, in cui si raggiunge lo zero: non una situazione ottimale, dunque, ma quella in cui, quantomeno, non si va in perdita.
Da lì, l’importante è crescere, aumentare i ricavi a fronte di costi che rimangono uguali o, quantomeno, proporzionali.
I costi fissi
Così come il termostato di una stanza si imposta sulla base di abitudini, abbigliamento e stagione, anche il termostato dei ricavi necessari varia a seconda di numerosi fattori.
Alcuni elementi sono imprescindibili, non potrebbe esistere lo studio se non esistessero questi costi.
Si tratta dei costi per pratiche amministrative di costituzione, per i computer, per le licenze. Per quanto riducibili all’osso, non tutti sono completamente eliminabili: il costo dell’affitto può essere rimandato, inizialmente ridotto, magari lavorando da casa, come ospiti altrui o optando per il coworking; il costo del personale può essere limitato, lavorando di sera e nei weekend, ma, prima o poi, si trasformano in uscite di cassa ineluttabili, per chi voglia crescere oltre la sopravvivenza.
Alcuni costi, addirittura, incidono sin dall’inizio dell’attività, se non prima, quando ancora questa non ha iniziato a produrre ricavi, men che meno utili: per questo è più facile partire dai costi che dai ricavi, perché è la domanda più spontanea che sorga in una persona che avvii un’attività, e rappresenta anche la parte più pilotabile.
I costi variabili
In uno studio professionale, i costi variabili sono facilmente individuabili, e sono principalmente legati alle materie prime utilizzate: carta, toner, energia elettrica e poco altro.
Più importante, in questi contesti, sono i costi che hanno un andamento a gradini: il costo del personale, ad esempio, resta pressoché invariato finché non si assume una nuova risorsa, e così via.
Lo stesso costo del personale, nel momento in cui è fisso, può essere variabile in aumento: basti pensare a quel periodo di tempo in cui i dipendenti svolgono ore di lavoro straordinario, in attesa dell’assunzione di un collega.
Questi costi, detti variabili progressivi, trovano il loro opposto nei costi cosiddetti variabili degressivi: sono quelli che, all’aumentare delle quantità, diminuiscono.
Un esempio può essere dato dall’acquisto delle risme di carta: più ne acquisto, meno mi costerà la singola risma.
L’obiettivo
L’obiettivo ultimo di un business plan deve sempre essere dimostrare, al professionista/imprenditore più che ai terzi, la sostenibilità del business.
Definiti tutti i costi, si può iniziare a fare qualche ipotesi su quali siano i ricavi necessari per raggiungere il break even point prima e una situazione che genera utili poi.
Un calcolo di questo genere sarebbe facile qualora si vendesse un solo prodotto ad un prezzo fisso: un cartone di latte da un litro a un euro.
La realtà degli studi professionali, però, è molto variegata.
Per poter determinare quanto si possa ricavare occorre individuare quali siano i servizi forniti dallo studio, per ogni servizio o pratica analizzare i costi fissi e quelli variabili, scomporre i processi e fare un’ipotesi sulla delega delle attività, se è vero che l’asset finito e più importante di un professionista è il suo tempo.
Ciò richiede che si inizi a delineare un controllo di gestione, cioè un sistema che permetta di mantenere il controllo su questi aspetti che impedisca di far uscire l’attività dai binari tracciati nel business plan.
Un controllo di gestione, i cui principi siano ipotizzati, applicati e costantemente verificati, permette di avere contezza delle attività o dei clienti più redditizi o più dispendiosi, in termini di risorse e di tempo: la scelta tra un alto volume di servizi a basso prezzo e un basso numero di servizi ad alto prezzo dipende solo dall’impronta che si vuole dare.
L’importante è non lavorare in balia del caso.