Il controllo di gestione in studio. Intervista ad Andrea Santa.

controllo di gestione Andrea Santa

Andrea Santa è stato una delle primissime persone a seguire e supportare gli articoli e i podcast di consulente.pro.

Arrivata a parlare di controllo di gestione, mi è sembrato ovvio e naturale chiedere a lui di essere il mio ospite del mese: consulente specializzato nell’informatizzazione di studi e associazioni, oltre che creatore ed amministratore di diversi gruppi LinkedIn sull’argomento, è un punto di riferimento per molti professionisti, quando si parla di controllo di gestione.

La chiarezza e la semplicità delle sue parole dimostrano la competenza e la passione che stanno alla base dei suoi contenuti.

Il controllo di gestione è un’attività che alcuni professionisti consigliano ai propri clienti. Ma siamo sicuri che non sia utile anche tra le mura dello studio?

Partirei dalla considerazione che negli ultimi anni, gli studi più “illuminati” hanno sviluppato delle competenze specifiche sul controllo di gestione, proponendolo come servizio a fianco di quelli tradizionali legati alla contabilità e al fisco. Quindi, molti studi non si sono limitati “a consigliare” questa attività in azienda ma si sono specializzati per aiutare proattivamente i propri clienti all’adozione dello stesso.

Partendo da questa premessa, non vedere l’utilità del controllo di gestione all’interno del proprio studio è un po’ come predicare bene e razzolare male.

In primis, il consiglio è quello di definire il modello di controllo di gestione da adottare all’interno dello studio, in coerenza con le linee strategiche e la vision che lo contraddistinguono. Tuttavia, per quanto un modello possa essere personalizzato non potrà prescindere:

  • da un processo di definizione di previsioni economiche e finanziarie,
  • dal monitoraggio periodico dell’andamento dei consuntivi delle suddette dimensioni economiche/finanziarie da confrontare con le previsioni effettuate,
  • dal monitoraggio di dimensioni non solo a valore ma anche a quelle quantitative. Rientrano in questa tipologia l’analisi delle attività svolte e dei servizi erogati,
  • da indicatori chiave definiti con diversa granularità di destinatari (a livello complessivo di studio, di area di servizi e di singola risorsa produttiva).

Un approccio scientifico, che parte dall’assioma che non si può migliorare ciò che non si misura. E che misurare inoltre serve per valutare in modo oggettivo tutti coloro che costituiscono la propria catena del valore (collaboratori, clienti, fornitori, etc…).

L’obiettivo è capire quali strumenti del controllo di gestione possano essere applicati anche in studio, quali adattati, quali creati ex novo.

Gli strumenti sono quelli classici, in fondo uno studio non è molto diverso da un’azienda di servizi. Quello che cambia è la centralità di determinati strumenti.

Ad esempio, lo strumento del timesheet è fondamentale per fare il salto di qualità al controllo di gestione all’interno di uno studio, dove una delle voci di costo più rilevante è quella del personale.

Altrettanto centrali sono gli strumenti legati alla gestione della pianificazione dell’attività e al relativo avanzamento.

Il controllo di gestione deve essere per forza complesso, in mano ad una persona preposta che lavora a questa attività full time?

Ogni studio deve valutare il trade off di impostare un controllo di gestione molto analitico e complesso e l’effort che ne comporta ai vari livelli dell’organizzazione.

Da questa scelta scaturisce la necessità di dedicare una risorsa full o meno, dedicata a tale attività. La terziarizzazione può essere una valida alternativa.

Nella mia esperienza le dimensioni incidono su questa scelta, per gli studi grandi è la normalità avere un controller interno. Per gli studi medi – piccoli il supporto di un consulente terzo per il controllo di gestione può essere un’opzione da valutare sia nella formula continuativa oppure legata alla fase iniziale di impostazione.

I software sono utili o indispensabili?

I software sono una condizione necessaria ma non sufficiente per adottare in modo efficace il controllo di gestione. Alla base dello stesso ci sono i dati e senza un software è impossibile garantirne una gestione completa, accurata, storicizzata, sicura e affidabile.

Ma non bisogna illudersi e considerare il software come una bacchetta magica con cui attivare il controllo di gestione.

Il primo passo deve essere quello di definire “teoricamente” il modello che si vuole adottare e poi impostarlo sul software. Una volta impostato il software, non meno importante è formare le proprie risorse all’utilizzo dello stesso.

È basilare un un forte coinvolgimento della direzione, che deve condividere e motivare i propri collaboratori sull’importanza del controllo di gestione, spiegando che è la via maestra per individuare dove migliorare ed essere più competitivi.

Qual è il ruolo della business intelligence?

Anche nello studio è fondamentale sfruttare la business intelligence, per analizzare al meglio i dati chiave del proprio controllo di gestione.

Il salto di qualità degli ultimi anni è la facilità con cui è possibile attingere da più fonti dati e dal fatto che le analisi possono essere facilmente condivise all’interno dell’organizzazione.

La business intelligence non è più solo un terreno esclusivo del controller, ma lo sviluppo tecnologico ha consentito di condividerne le analisi su più tipologie di interlocutori (in primis della direzione) con dashboard facilmente leggibili dal proprio smartphone.

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