Parlare con Flora Bova è sempre illuminante: una professionista competente che ha compreso appieno e che è in grado di trasmettere in maniera efficace l’importanza della soddisfazione del cliente nel corso di tutta la sua journey.
Flora Bova è Client Manager &Team Leader CX Insights presso Kantar Italia, società leader mondiale nell’insights, consulenza e data management.
Flora, cos’è la customer satisfaction?
La customer satisfaction è la misurazione della soddisfazione del cliente nell’ottica del miglioramento di un prodotto/servizio offerto, un concetto all’apparenza semplice e intuitivo che nasconde tantissime sfaccettature e implicazioni.
Oggi il concetto di customer satisfaction si è ampliato, assume sempre più importanza ascoltare la voce del cliente rispetto all’esperienza fornita dal brand, dall’azienda, dall’organizzazione, di qualsiasi dimensione essa sia, al fine di fidelizzare i clienti e quindi favorire la crescita del business.
La nostra esperienza, tuttavia, ci ha insegnato che soddisfare un cliente non è sufficiente, bisogna anche convertire questa soddisfazione in preferenza: solo le aziende che non solo garantiscono alte prestazioni, ma che a queste coniugano una preferenza per il brand nel panorama competitivo, sono quelle che avranno un legame più duraturo e creeranno fedeltà nei propri clienti.
Un altro indicatore tipico della customer satisfaction e della customer experience è la raccomandabilità: clienti soddisfatti e che hanno maturato anche una preferenza rispetto al panorama competitivo sono quelli che maggiormente raccomanderanno l’azienda, il brand, il servizio. Per questo è così importante raccogliere i feedback dei propri clienti, sia in termini di soddisfazione, sia in termini di preference, sia in termini di raccomandabilità, perché questi indicatori sono il segnale di come l’azienda stia performando, sia di per sé sia all’interno del contesto competitivo.
L’ascolto del cliente ha un impatto diretto sul business ed è quindi cruciale rilevare questi indicatori, anche perché spesso nelle aziende il management tende a ragionare in modo spesso autoriferito; si ha una certa idea di come si è percepiti sul mercato, sì è convinti di soddisfare i propri clienti sotto molti aspetti ma, alla prova dei fatti, in alcuni casi queste convinzioni vengono disilluse.
Quando, infatti, si misura la customer satisfaction dei propri clienti, spesso emergono punti di debolezza fino ad allora ignorati o sottovalutati che possono mettere a rischio la propria quota di mercato a favore dei competitor, così come si possono evidenziare elementi da migliorare, sui quali vale la pena investire perché possono far crescere il business.
Quindi è importantissimo che le aziende di tutte le dimensioni monitorino da vicino la soddisfazione dei propri clienti, perché solo così facendo possono incrementare il proprio business o, comunque, monitorarne da vicino l’evoluzione.
Leonardo da Vinci diceva: “Saper ascoltare significa possedere, oltre al proprio, il cervello degli altri”. Hai parlato di ascolto, e mi piacerebbe avere una tua riflessione su questa frase, declinandola in ambito customer experience e customer journey. Ti trovi d’accordo con ciò che dice Leonardo?
Leonardo era un genio che ha saputo anticipare molto di ciò che è successo dal ‘400 in avanti nei più svariati campi delle attività umane.
L’ascolto è una priorità assoluta per le aziende, perché senza l’ascolto del proprio cliente l’azienda naviga alla cieca: anche se il proprio business è florido nel breve, navigare a vista senza ascoltare il proprio cliente è rischioso a medio e lungo termine. È, invece, importante mantenere attiva la bussola – la customer satisfaction- affinché orienti sia nei momenti di crescita, sia in quelli di difficoltà.
A questo proposito, la pandemia è stata una prova decisiva di come, soprattutto in un momento di grande disagio, i clienti avessero bisogno di essere ascoltati dalle aziende e dai brand di loro riferimento, evidenziando quanto l’ascolto, nella normalità ma soprattutto nel momento del bisogno, fosse assolutamente necessario.
Nel periodo dell’emergenza sanitaria, la fisicità è stata sostituita da una vicinanza più digitale delle aziende, per esempio, attraverso la conversione all’e-commerce: molte aziende hanno ripensato e rivisto il loro modello di servizio e questo è un case che rimarrà nella storia, che ci ha insegnato come le epoche e le situazioni emergenziali costringano le aziende a riconvertirsi per stare vicino ai propri clienti. E tutto questo non può esser fatto se non ascoltando attentamente le nuove necessità dei clienti.
L’ascolto è un elemento imprescindibile che porta a osservare e fare tesoro dei suggerimenti così come delle lamentele dei clienti; i feedback così raccolti sono utili a trasformare i processi, le procedure e l’organizzazione in maniera customer centrica. I cosiddetti programmi di voice of the customer sono di fatto dei programmi di ascolto del cliente i cui feedback sono decisivi per il miglioramento e la rimodulazione dei processi interni per venire incontro alle esigenze del cliente.
Il concetto di customer satisfaction e di customer experience si può applicare anche a realtà più piccole e molto diverse, come gli studi professionali?
I concetti di customer experience e customer centricity si applicano a tutti i modelli organizzativi, piccoli e grandi.
In realtà, nelle piccole organizzazioni dovrebbe esserci addirittura più attenzione nei confronti del cliente, perché la relazione è più stretta, è più vicina rispetto alle grandi aziende; questo dovrebbe facilitare la raccolta dei feedback che, adeguatamente analizzati, serviranno all’organizzazione per essere in grado di fornire un servizio disegnato e customizzato sui propri clienti.
Naturalmente, i clienti di uno studio professionale sono diversi dai clienti di un’azienda, per esempio di largo consumo o da un’azienda di servizi, ma il concetto e il metodo sono sempre gli stessi: raccoglierne i feedback, in maniera quanto più scientifica possibile.
Ci sono diversi modi per raccogliere feedback, anche con brevi questionari mandati con un link via mail o via sms, una volta che il cliente ha avuto un’esperienza di contatto con uno studio professionale, che può essere anche la visita dal notaio per stipulare un mutuo, piuttosto che una visita dal commercialista per una consulenza. Obiettivo finale è quello di migliorare il proprio servizio.
Un elemento importante e che può essere preso in carico anche dalle organizzazioni più ristrette come gli studi professionali è l’elemento emotivo: è esperienza di chiunque ricordare nella vita soprattutto le situazioni emotivamente molto intense, quelle che ci hanno resi molto felici o molto infelici e anche i nostri studi a livello internazionale e su larga scala confermano che le emozioni sono un elemento importantissimo, una chiave fondamentale per plasmare la memoria delle esperienze.
È quindi fondamentale non solo dare un servizio ineccepibile dal punto di vista formale e razionale, ma anche fornire un’esperienza con una coloritura emozionale che possa far sì che quell’esperienza sia memorabile, così da guidare le future esperienze del cliente.
L’esperienza emotiva ha un ruolo decisivo che anche i numeri ci confermano: accresce la raccomandabilità, cioè la possibilità di raccomandare l’esperienza ad un amico o ad un parente, e dunque aumenta la possibilità di incrementare il business in futuro.
In breve, l’elemento emozionale dell’esperienza offerta ai clienti è correlato direttamente ad un incremento del business.
Quindi, per una customer experience, per una customer journey felice bisogna da una parte saper vendere, perché bisogna mettere il cliente a suo agio, non solo per farlo venire da noi ma anche quando si presenta da noi, e poi ricordiamoci che la saggezza popolare dice che una recensione negativa ha molto più impatto rispetto ad una recensione positiva, quindi l’importante è far sì che il nostro cliente non vada mai a parlare male di noi ad altri.
La customer experience e la soddisfazione del cliente sono quindi anche elemento di marketing, perché ci aiutano attraverso i nostri ambassador, persone che ci sostengono e ci supportano e, di fatto, ci pagano per farci pubblicità.
Le aziende sono giustamente molto focalizzate suoi propri ambassador. È per questo che il Net Promoter Score (NPS) è così importante trasversalmente ai mercati e a livello internazionale, perché misura la quota di ambassador che un’organizzazione può vantare al momento e aiuta a capire come svilupparne di altri.
La customer experience non è qualcosa di statico che misura solo l’esistente, ma dà la possibilità di comprendere come agire, come investire per incrementare gli ambassador, i clienti che sono sempre più soddisfatti. Questa è la magia che crea la customer satisfaction. Attraverso metodologie specifiche e validate è possibile costruire piani di azioni prioritarie: si valutano i singoli aspetti di un servizio e si correlano poi alla soddisfazione complessiva o all’NPS; in questo modo si evidenziano quali siano gli elementi, i driver che impattano di più sulla soddisfazione del cliente.
Questo consente di capire dove si debba investire budget, su quali aspetti del servizio è importante investire per accrescere la customer satisfaction e quindi aumentare gli ambassador.
La rilevazione della customer satisfaction è importantissima proprio perché serve ad attivare le organizzazioni in modo proficuo e le orienta in modo chirurgico per incrementare l’NPS, la satisfaction in generale e dunque la loyalty nel lungo periodo.
Torniamo sul discorso emotivo, che per me è molto importante, e mi sembra anche di capire che sia in buona parte centrale, rispetto a questo discorso: diciamo che gli studi professionali creano una sorta di muro tra ciò che sta all’interno dello studio professionale e ciò che sta all’esterno, quindi “noi” e “loro”, per cui nel momento in cui arriva una lamentela da parte di un cliente, il professionista si focalizza sulle proprie emozioni e ne nasce la rabbia, viene riversata la colpa sul “loro”, e nasce una sorta di percezione negativa da parte del professionista e dei suoi dipendenti nei confronti del cliente.
Prima dicevi che bisogna spostarsi su una customer centricity, quindi portare al centro il cliente, per cui, probabilmente, ciò a cui deve essere data più importanza, in realtà, è l’emozione che ha percepito il cliente. Quindi, mi chiedo, che cosa si può imparare dalle lamentele di un cliente?
Si può imparare tantissimo, soprattutto se si cambia la cultura che considera la lamentela, il reclamo come qualcosa che ha a che fare con un senso di inadeguatezza; al contrario, il feedback negativo è qualcosa che arricchisce, indicando la via per soddisfare il proprio cliente.
È proprio una rivoluzione culturale: l’azienda deve introiettare la capacità e la voglia di ascoltare il cliente nelle lamentele, per far sì che queste diventino lo spunto per migliorare alcuni processi organizzativi.
Le grandi aziende da anni svolgono programmi di voice of the customer che attraverso piattaforme tecnologiche molto avanzate raccolgono i feedback dei clienti.
Il cliente insoddisfatto viene ricontattato, si cerca di capire il suo disagio, come poterlo aiutare, come venirgli incontro e risolvere il suo problema.
Di fatto, questi programmi hanno dimostrato nel tempo che ricontattare ed ascoltare i clienti insoddisfatti riduce significativamente il loro tasso di abbandono; consente di ridurre il disagio e la percezione negativa del cliente, evitando che vada da un’altra parte. E questo funziona, premia le aziende che lo fanno, lo vediamo nei numeri.
Al contrario, l’insoddisfazione, sommata al disinteresse da parte dell’azienda irrita maggiormente il cliente e lo porta a cambiare, a rivolgersi ad altre aziende.
Vengono raccolti e analizzati anche i feedback molto positivi di clienti che hanno avuto un’esperienza memorabile -un’esperienza “wow” – e che vengono ricontattati in ottica di cross-selling: ai clienti molto soddisfatti si possono proporre con successo nuovi servizi, nuovi prodotti, andando sull’onda del loro entusiasmo e della loro soddisfazione – e anche questo funziona positivamente.
La raccolta dei feedback è dunque estremamente importante sia per migliorare quei journey che hanno evidenziato frizioni, intoppi nel far raggiungere al cliente la propria mission, sia per trasformare le esperienze positive in possibilità di crescita del business.
Questo vale nelle grandi aziende così come nelle piccole aziende: questo tipo di attività premia in tutte le direzioni.
Hai qualcosa da aggiungere?
Spero che la cultura della customer centricity possa diffondersi capillarmente anche nelle piccole e medie aziende italiane che sono l’ossatura della nostra economia, perché questo è importantissimo adesso più che mai per una ripresa a vele spiegate. Potrebbe rappresentare un punto di svolta, di ripartenza per tante aziende.
Quindi auspico la più ampia e rapida adesione a questa trasformazione culturale di cui le nostre aziende hanno veramente bisogno.