L’importanza della customer satisfaction in uno studio professionale

L’importanza della customer satisfaction in uno studio professionale

La customer satisfaction di uno studio professionale è sempre data per scontata o, in alternativa, totalmente ignorata.

Si dà per scontato che il lavoro sia stato fatto, forse non è neanche importante che sia stato fatto bene, perché “il cliente faccia il suo, che io so cosa devo fare”.

Il professionista come commodity.

Negli anni ’80 e ’90 il professionista era sempre guardato dal basso verso l’alto, la mancanza di risorse per confutare le informazioni fornite dal professionista gli conferiva ipso facto quell’aura di autorevolezza e credibilità insindacabile che oggi i più possono solo sognare.

L’avvento di Internet e la democratizzazione delle informazioni ha reso il professionista solo una persona abilitata a svolgere un determinato compito: meno costi, più mi piaci.

Se ne sono accorti i medici, che vedono pazienti autodiagnosticati in ambulatorio, se ne sono accorti i creatori di app, che hanno colmato il gap tra le informazioni già disponibili e l’opera del professionista.

Con l’avvento di software, robot e semplificazioni del dialogo tra Pubblica Amministrazione e cittadini, l’elemento di valore differenziante tra un professionista e un altro è l’atteggiamento.

Naturalmente, anche il prezzo conta come criterio tra la scelta tra un professionista e un altro, ma un prezzo che è un’arma tagliente in un caso diventa ben presto un’arma spuntata nella guerra dei prezzi al ribasso.

E poi, diciamocelo, il professionista che è stato scelto solo per il prezzo parte sconfitto.

Soddisfare un bisogno.

Seth Godin dice che, quando si vende un prodotto (o un servizio) non si sta vendendo il prodotto in sé, ma la promessa intangibile che ci sta dietro.

Cosa vende il notaio? Sicurezza e possibilità.

Cosa vende l’avvocato? Supporto e difesa.

Cosa vende il commercialista? Consigli.

Eppure, il notaio medio pensa di vendere rogiti, l’avvocato medio pensa di vendere atti e il commercialista pensa di vendere contabilità.

Niente di più sbagliato.

Il cliente è spesso intimamente convinto di sapere tutto ciò che c’è da sapere per acquistare casa, per far valere i propri diritti o per ottenere l’ultimo incentivo, quindi cerca il professionista che lo appoggi, lo rassicuri e stabilisca con lui quel legame empatico che lo fa sentire accolto, supportato, seguito.

Nel momento in cui ciò che si vende non è più il rogito, la lettera o il 730, ma la soddisfazione di un bisogno, l’aver fatto bene il proprio lavoro non risponde più (solo) a regole scritte e non si basa più su hard skill ben identificate, ma si poggia su soft skill e percezione: la customer satisfaction.

Lavorare con la gente.

Appare quindi evidente come il centro della strategia, del processo, dell’attenzione in generale debba essere il cliente, e non più (solo) l’hard skill.

Cosa ne è, quindi, degli impiegati che si lamentano divertiti di quanto siano brutti i lunedì o di quanto “lavorare a contatto con la gente” sia una croce da portare per raggiungere l’agognato stipendio a fine mese?

Ai datori di lavoro, liberi professionisti che dal giorno 0 di partita iva si sono dovuti impegnare per cercare clienti è chiaro da anni che lo stipendio ai dipendenti non sia pagato da loro, ma dal cliente. Il “capo” si occupa solo di far girare i soldi, di allocare una parte delle fatture incassate per il pagamento dei costi del personale.

Quello stesso personale che (parlo per averlo visto fare) chiude il telefono in faccia al cliente, mette la telefonata in attesa per insultare o prendere in giro il cliente con un collega e che, spesso, tratta il cliente come un peso e lo fa sentire tale.

In linea di principio è più difficile trovare un nuovo cliente che mantenerne uno esistente, e il parametro per capire quanto sia probabile che il cliente continui ad affidarci a noi è la customer satisfaction, la sua soddisfazione.

Per qualsiasi esigenza, mi contatti pure.

Sono poche e semplici le regole che permettono di far felice il cliente, e quasi tutte ricadono nella sfera del buon senso.

Una buona regola è quella del trattare il cliente nel modo in cui si vorrebbe essere trattati, che porta direttamente ad un’altra regola, quella della gentilezza.

Chiunque lavori a contatto con la clientela sa bene quanto varie possano essere le domande, le esigenze, le richieste, e quanto possano essere particolari le persone.

Nella mia personale esperienza ho trovato particolarmente utile una frase, una sorta di formula magica che non mi ha mai deluso:

“Mi consideri a Sua completa disposizione per qualsiasi necessità”,

seguita dal mio numero di telefono cellulare.

Questo mi costringeva a mettermi alla prova per anticipare le necessità dei clienti ancora prima che loro le manifestassero e mi permetteva allo stesso tempo di dare loro ciò che cercavano dal notaio (presso cui lavoravo): sicurezza e possibilità.

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