Uno dei superpoteri di cui possiamo usufruire al lavoro, ma anche nella vita privata, è la delega.
Delegare è, nelle parole di David Allen, un modo per “get things done” (grossolanamente: far sì che le cose siano fatte).
A tutti viene facile delegare alcuni compiti, come una fotocopia, una telefonata per un appuntamento, una commissione fuori studio.
Ciò che non è sempre immediato è come usare la delega per liberare il nostro tempo ed allo stesso momento permettere la crescita di chi ci circonda.
Fare propria l’abilità di delegare è un requisito fondamentale per chi si trovi in posizioni apicali.
Cosa delegare.
Occorre innanzitutto individuare quali siano le attività che si possono o che si desidera delegare.
Un piccolo indizio può essere trovato in tutti quei compiti che tendiamo a procrastinare, rimandandoli all’infinito.
Si possono sicuramente delegare i compiti ripetitivi, che non richiedono competenze particolari o che, al contrario, richiedono competenze molto specifiche, che fuoriescono dalla sfera delle nostre abilità.
A chi delegare.
Una volta individuati i compiti da delegare, è fondamentale individuare quali siano le persone migliori da incaricare per svolgerli.
A seconda del tipo di attività, la scelta può ricadere su una risorsa junior, per le attività più semplici e di routine, oppure su una risorsa senior, in modo da aumentarne il grado di responsabilità, oppure ancora su una risorsa esterna, affidando un’attività in outsourcing.
La differenza sottile tra delega ed outsourcing sta nel fatto che, mentre la prima è solitamente affidata ad un membro interno al team, il secondo è affidato a soggetti esterni, che si potrebbe anche non incontrare mai di persona.
Secondo il mio punto di vista, invece, l’outsourcing non è altro che un tipo di delega. Una delega diretta, precisa e puntuale, a persone che svolgono un determinato servizio in cui sono specializzate.
La delega propriamente detta, quella all’interno del gruppo di lavoro, è un modo per assegnare a membri del proprio team un compito che non appartiene direttamente a loro, così da aumentarne le competenze e la responsabilizzazione.
Come delegare.
Vi sono sette livelli di delega, dal più dettagliato e preciso fino a quello in cui si lascia totale libertà all’altra persona.
Per fare un esempio, il primo tipo di delega è quello dello chef che indica alla propria brigata come desidera che siano fatte le cose, lasciando un margine di libertà pari a zero; il settimo tipo di delega è quello della persona che deleghi al pediatra la formulazione di una diagnosi sul figlio: c’è la totale fiducia nei confronti delle capacità professionali del medico – se questo esempio vi sembra fuori luogo, pensate a quante volte non vi siete fidati di un certo dottore o di quante volte avete provato ad autodiagnosticarvi una malattia con Google.
Nel delegare, è importante comunicare quale sia il risultato desiderato e la scadenza entro la quale debba essere raggiunto, restando sempre a disposizione per eventuali chiarimenti.
L’indicazione del quadro generale entro cui si pone il compito da svolgere e del perché venga delegato permette a chi riceve il compito di capirne le ragioni e di fornire un risultato migliore e più aderente alle aspettative.
Perché è difficile delegare.
Il titolare di uno studio che non deleghi rischia di concentrare su di sé troppe attività, finendo per demotivare il proprio team e contemporaneamente dare risultati di scarsa qualità.
A chi ha iniziato da zero, occupandosi di tutti gli aspetti della propria attività, potrà sembrare che nessun altro sappia fare lo stesso lavoro allo stesso modo: in realtà, la selezione di personale di talento fa parte del set di skill necessarie per la crescita. Come diceva Steve Jobs:
“Investiamo in persone, non in edifici”.
A volte, non si delega perché non si ha il tempo per farlo. Delegare richiede tempo per istruire le persone e bisogna mettere in conto la possibilità che i risultati non siano quelli desiderati. Capita a volte, però, che un modo diverso di fare le cose sia soltanto un modo nuovo per farle.
Crogiolarsi nel “devo fare tutto io” o nel lamentarsi di quanto si sia occupati è un piacere effimero, che distoglie dai doveri più importanti, come prendere decisioni importanti sulla strategia da intraprendere o creare nuove relazioni professionali.