Sono figlia degli anni ’80, della prima metà, a dirla tutta.
Ricordo che da bambina sentivo spesso pronunciare la frase “un giorno i robot faranno tutto”, a volte nella sua variante “un giorno se ne occuperanno i computer”. A quell’epoca non capivo, mi sembrava una frase buttata lì, senza senso. Certo, mi meravigliavo un pochino, mi appigliavo a immagini miste di “Ritorno al Futuro” e “Topolino”, ma restava quella sensazione di non aver capito.
Penso di esserci arrivata ieri sera.
Stavo guardando “La regina degli scacchi”, su Netflix – peraltro ne consiglio la visione. Nella quinta puntata, Beth è seduta su una panchina, la si vede di spalle, sulla testa qualcosa che il mio occhio ed il mio cervello hanno percepito essere una cuffia, di quelle per ascoltare la musica.
Peccato che il telefilm sia ambientato negli anni ’60 e che, anche non lo so per certo perché non c’ero, a quell’epoca non fosse possibile ascoltare la musica con le cuffie in mezzo ad un parco.
Ecco quindi perché i miei genitori e i miei nonni continuavano a dire quella cosa dei robot, dei computer e del futuro.
I baby boomers, e ancora di più i loro genitori, hanno vissuto in prima persona una crescita esponenziale della società e della tecnologia.
I nostri nonni prendevano la bicicletta per andare in paese a telefonare, noi portiamo un telefono in tasca. Un telefono che è in realtà un portale tecnologico sul mondo intero. Un telefono che ci ostiniamo a chiamare tale, anche se in realtà telefonare è forse la cosa che facciamo di meno.
Il nostro telefono ci sveglia la mattina, ci dà le previsioni del tempo dettagliate per orario, ci dà le indicazioni sul traffico mentre andiamo in ufficio, conta quanti passi facciamo, il nostro telefono è una biblioteca, un’edicola, un negozio con tutti gli articoli del mondo, è una palestra, è la nostra banca. Quando ancora si poteva viaggiare, il telefono era anche una perfetta agenzia viaggi.
Eccoli, i robot.
Sono tra noi e neanche ce ne rendiamo conto, hanno automatizzato la nostra vita in maniera graduale e li abbiamo accolti a braccia aperte.
Laddove prima si lavavano panni e stoviglie a mano, ora ci sono lavatrici, asciugatrici e lavastoviglie, e il primo lockdown ha visto il boom dei robot aspirapolvere, in parziale sostituzione delle colf.
I conti a mano sono stati sostituiti dalle calcolatrici prima e da Excel poi, il disegno ora si fa (anche) sulle tavolette grafiche.
Marco Montemagno inizia il suo ultimo libro, “Lavorability”, parlando degli knocker-uppers, le persone che di lavoro giravano le vie bussando alle porte ed alle finestre per svegliare le persone. Poi le sveglie sono diventate più accessibili e gli knocker-uppers hanno perso il loro lavoro. Così come sta succedendo oggi a tanti edicolanti, impiegati di banca, di agenzie di viaggio. Così come succederà presto ad alcune categorie di professionisti.
Il fatto che una determinata funzione sia automatizzata da computer o robot, o dal progresso tecnologico in generale, non dovrebbe davvero essere fonte di apprensione.
Dopotutto, siamo umani, e, come ci hanno insegnato in tanti film di fantascienza, i computer e i robot li abbiamo creati noi: siamo esseri superiori.
La diffusione dei computer ha accresciuto l’importanza ed il bisogno di programmatori e ingegneri informatici, ma il nuovo movimento del no code potrebbe veder presto declinare anche queste professioni.
La verità sta nel fatto che tu non sei il tuo lavoro. Tu non sei la tua professione.
Per una professione che muore, un’altra ne nasce. E, mentre cento iPhone saranno tutti uguali, non ci saranno mai due persone uguali tra loro.
Gli umani, per quanto anch’essi caratterizzati dall’obsolescenza programmata, sono il risultato di un lungo percorso di vita, determinato da infinite variabili.
Variabili che sono la culla delle soft skill. O sono le soft skill che sviluppiamo sin dalla culla, a seconda di come la vogliamo vedere.
Sono queste, le abilità trasversali tipicamente umane, che ci difenderanno dai robot e dai computer.
Quando il notariato sarà sostituito dalla blockchain, quando la contabilità verrà gestita con un’app, quando il lavoro dei professionisti sarà svuotato delle sue competenze più squisitamente tecniche, cosa resterà, lavorativamente parlando, di chi faceva parte di queste categorie?
Resterà la capacità di fare network, di comunicare con il proprio cliente per suggerire la soluzione migliore, per spronarlo nella crescita o sostenerlo nei momenti di crisi.
La curiosità, l’apprendimento continuo, la resilienza, l’assertività, il senso dello humor, la diplomazia, il carisma sono le abilità da allenare da subito, perché il mondo va sempre più veloce.
Padroneggiare oggi le soft skill che ci rendono davvero umani, ci salverà domani dalle hard skill che saranno dei robot. O dei computer.