“Ma è quello che mi hai detto di fare!”
“Quella si è permessa di dirmi che…”
“Ha anche ragione, ma è il modo di dire le cose?”
Chi non ha mai pronunciato o sentito pronunciare almeno una di queste frasi in ufficio?
Una buona parte delle dinamiche dei malintesi e dei malumori quotidiani potrebbe essere agevolmente evitata qualora si prestasse maggiore attenzione alla congruità o, come preferisco dire, alla coerenza del messaggio che viene trasmesso.
Ogni comunicazione è composta da tre fattori: le parole, cioè il linguaggio verbale, il tono, ovvero il cosiddetto linguaggio paraverbale e il linguaggio del corpo, cioè il linguaggio non verbale.
Sebbene il linguaggio verbale, cioè le parole che scegliamo coscientemente di utilizzare, sia percepito come la parte più importante della comunicazione, nella realtà dei fatti questo aspetto pesa solo per il 7% del messaggio.
Il restante 93%, cioè la maggior parte del messaggio, è trasmesso attraverso altri elementi, razionalmente meno evidenti, ma chiari al cervello inconscio.
Elementi paraverbali quali il tono della voce, il ritmo, la velocità e il volume rafforzano o modificano il messaggio, a seconda della coerenza con le parole. È questa la differenza tra una frase detta in modo sincero ed una pronunciata in modo sarcastico: “esco ora da una riunione interessantissima!”.
Il linguaggio paraverbale, che nella comunicazione scritta si esprime con la punteggiatura e la lunghezza delle frasi, ha un peso pari al 38% del messaggio.
Parole e tono insieme, quindi, non costituiscono neanche la metà del messaggio trasmesso.
Ne deriva, quindi, che la maggior parte della comunicazione passi attraverso il terzo elemento: il linguaggio non verbale, di cui le espressioni, la postura e i gesti sono tipiche espressioni, hanno un’importanza pari al 55% della comunicazione.
Questa spiegazione è l’interpretazione più diffusa delle teorie dello psicologo americano Albert Mehrabian, che nel 1967 dimostrò sperimentalmente ciò che tutti avevano compreso in maniera istintiva.
La ricerca di Mehrabian, tuttavia, dimostrava che queste percentuali siano valide solo quando si stiano comunicando emozioni e atteggiamenti.
Tornano in gioco gioia, rabbia, tristezza, paura e disgusto. Pensiamo alla frase: “non vedo l’ora che sia domani” e decliniamola nel tono di ciascuna delle succitate emozioni. Verrà istintivo assumere espressioni facciali, che rafforzeranno la congruità del nostro messaggio verbale. Se i giocatori di poker passano anni ad allenarsi a non far trasparire le emozioni dalle espressioni del volto, gli attori passano ancor più tempo ad esercitare la coerenza del messaggio verbale, delle parole pronunciate, con mimica e prossemica, con tono e ritmo della voce.
Robert Cialdini, nel suo libro “Le armi della persuasione” espone la rilevanza di elementi quali la bellezza, la somiglianza, l’altezza e gli abiti per comunicare un messaggio persuasivo all’interlocutore, tramite meccanismi di condizionamento e associazione.
Questi elementi sono classificabili come comunicazione non verbale statica. Di questo gruppo fanno parte anche il luogo in cui viene trasmesso un messaggio: richiamo l’immediatamente percepibile differenza tra l’artista di strada e quello che si esibisce nella sacralità di un teatro, ma potrei richiamare anche la differenza di percepito tra uno studio professionale buio, sporco e fatiscente e un altro luminoso e curato (tutto è marketing!).
Questa consapevolezza comunicativa, traslata nella quotidianità lavorativa, può aiutare a spiegare il motivo per il quale un messaggio venga talvolta mal interpretato o, addirittura, completamente stravolto, con tutte le conseguenze del caso.
La comunicazione deve essere sempre vista e trattata come un’abilità da allenare, piuttosto che come una capacità innata: essere coscienti del peso delle sole parole quando si scrive una mail, o dell’importanza del luogo in cui si ha una conversazione permette di prendere decisioni consapevoli per migliorare la comprensione del messaggio.
Saper scegliere tra una mail e una telefonata, ad esempio, è di basilare importanza.
La mail, per definizione composta da solo linguaggio verbale e (in minima parte) da linguaggio paraverbale, dovrebbe essere utilizzata per trasmettere messaggi che non richiedano interpretazione, messaggi adatti alla comunicazione asincrona in quanto non urgenti. Feedback, critiche, proposte di vendita e cattive notizie, invece, richiedono che oltre alle parole sia trasmesso anche quel lato empatico che solo il linguaggio non verbale sa comunicare.
Un’altra arma di persuasione esposta da Robert Cialdini nel summenzionato libro è la riprova sociale: siamo più portati ad adottare un comportamento quando altre persone si comportano in maniera analoga.
Tornano in gioco il concetto di influenza e di leadership: come creare consenso e fiducia nelle altre persone?
Attraverso la comunicazione efficace e, soprattutto coerente.
Comunicare in modo efficace, ponendo attenzione non solo al linguaggio verbale ma anche al linguaggio paraverbale ed al linguaggio non verbale e adattare il linguaggio al contesto ed all’interlocutore permette di creare empatia e risonanza nell’altro, tale da permettere la creazione di un sentimento di appartenenza al gruppo, inteso sia come gruppo ristretto di lavoro, sia come fidelizzazione del cliente e di tutte le persone che ruotano intorno al fulcro della comunicazione.