Come organizzare lo smart working all’interno dello studio professionale.

Come creare una policy di smart working all’interno dello studio professionale.

Durante la recente esperienza di lockdown, lo smart working è stato visto come delocalizzazione del lavoratore, che si è dovuto arrangiare nell’adattare dinamiche proprie dell’ufficio in un altro luogo, privo degli strumenti adatti e quindi spesso con maggiore difficoltà nell’esecuzione dei compiti quotidiani.

Questo metodo di lavoro, più che smart working, è meglio inquadrabile nella definizione di telelavoro.

Smart working è responsabilizzazione del lavoratore, che può autodeterminare i propri orari nel raggiungere gli obiettivi prefissati dal datore di lavoro entro le scadenze stabilite.

Assume, quindi, primaria importanza il ruolo della comunicazione tra i dipendenti ed il datore di lavoro, o il team leader, per garantire un costante allineamento sull’andamento del lavoro.

Proprio la comunicazione è stato il tallone d’Achille dello smart working come adottato durante il lockdown: i professionisti, spesso, non sanno cosa comunicare e come comunicarlo.

Elementi da valutare per organizzare lo smart working.

Mappatura dei processi.

In inglese, quello che gli italiani chiamano smart working, è chiamato work from home, lavoro da casa.

L’italiano in posizione apicale, si tratti del titolare di uno studio professionale o di un manager, valuta il proprio dipendente in funzione della presenza in ufficio: concedergli di lavorare da casa è già visto come un benefit, come un elemento “smart”. In realtà, lo smart working è un cambio di focus, che sposta il parametro di controllo da un criterio quantitativo ad un criterio qualitativo.

Il primo elemento da valutare, quindi, è l’analisi del lavoro e della capacità di carico di lavoro dei singoli dipendenti, in base alle attitudini di ciascuno.

Idoneità.

Ricerche condotte durante il lockdown hanno dimostrato che il 42% dei lavoratori sente di essere più produttivo lavorando da casa rispetto al 32% dei lavoratori che ritiene di essere più produttivo in ufficio.

Gli studi professionali hanno un intrinseco elemento di contatto con il pubblico, quindi l’applicazione dello smart working genera un’organizzazione ibrida, con parte del personale in studio e parte del personale delocalizzato, che devono saper comunicare ed aggiornarsi.

È necessario, in primo luogo, identificare quali siano i soggetti che possono lavorare in smart working, ed a tal fine si possono applicare diversi criteri.

Il titolare dello studio, come il notaio, ad esempio, può avere degli obblighi di assistenza alla sede.

La risorsa in reception, idealmente legata all’ufficio, può essere in realtà idonea allo smart working qualora gli appuntamenti siano gestiti secondo un calendario prestabilito, che le consentirebbe anche di dedicare del tempo di qualità alla gestione di adempimenti di segreteria, ad esempio. Questo modus operandi rispecchia l’abitudine già consolidata di alcuni studi di chiudere l’ufficio al pubblico per limitare le interruzioni dall’esterno.

Alcuni soggetti potrebbero essere disinteressati al lavoro da remoto: si pensi a chi ha bambini piccoli a casa, a chi vive in case piccole senza un posto fisico in cui lavorare o a chi non abbia particolare dimestichezza con gli strumenti informatici.

Comunicazione con il team.

Se le infinite riunioni virtuali sono state il cruccio delle aziende durante il lockdown, i dipendenti degli studi professionali hanno vissuto il disagio contrario, ovverosia la mancanza di momenti aggregativi.

Ogni realtà professionale deve individuare il metodo migliore per garantire l’allineamento di tutte le risorse del team, favorendo una comunicazione naturale e spontanea.

Questo compito può essere preso in carico direttamente dal titolare dello studio oppure affidato ad una persona appositamente individuata.

I lavoratori più giovani o con meno anzianità lavorativa hanno costantemente bisogno di un confronto con i propri capi: lasciare il team a sé stesso non è una strategia vincente, ma ciò è vero anche in assenza di dipendenti facenti parte di queste categorie.

Comunicazione con il cliente.

Se il lavoratore in smart working ha il diritto di gestire i propri orari, ha anche il cosiddetto diritto alla disconnessione.

Ecco la differenza tra smart working e telelavoro: smart working è fusione tra vita lavorativa e vita privata, che si mescolano, quasi senza soluzione di continuità.

Questo va ovviamente applicato con buon senso: il lavoratore che preferisce essere operativo al di fuori degli orari convenzionali, come il weekend o la sera tardi, non può telefonare ad un collega dando per scontata la sua disponibilità. Devono quindi essere individuate fasce orarie entro cui si sia reperibili. Idealmente, due o tre ore la mattina e/o due o tre ore il pomeriggio, di disponibilità, anche non davanti al computer, permettono alla squadra di non funzionare in maniera totalmente asincrona e di ridurre la percezione di isolamento.

Un disagio lamentato da molti dipendenti di studi professionali, nei quali non è diffuso il cellulare aziendale, è legato alla divulgazione del proprio numero di telefono personale, considerata come pratica invasiva.

A tamponare tra la necessità di reperibilità al di fuori dello studio ed il desiderio di maggiore libertà di determinare il luogo fisico in cui si lavora, interviene la tecnologia VOiP, che permette al dipendente di rispondere ovunque si trovi alla telefonata che il cliente ha fatto digitando il numero di studio, perché la chiamata, anziché su rete telefonica, passa su rete dati.

Smart working diventa concretamente applicazione dell’acronimo ATAWAD – anytime, anywhere, any device (in qualsiasi momento, ovunque, da qualsiasi dispositivo).

Redistribuzione della ricchezza.

Con l’adozione dello smart working, lo studio non ha più necessità di avere una scrivania per ciascun dipendente, mentre per il lavoratore sorge la necessità di un home office: sedia ergonomica, illuminazione adeguata, computer funzionante, rete Internet stabile e sicura. Inoltre, aumentano per lo smart worker i consumi di energia elettrica per riscaldamento, raffrescamento ed illuminazione. Se queste risorse, oltre, ad esempio, ai buoni pasto, costituiscono un risparmio per lo studio, possono trasformarsi in un benefit da redistribuire al lavoratore, diventando così un incentivo che gli permette di non sentirsi isolato e di non sentire di lavorare in un ambiente scomodo e sfavorevole. Il sostegno economico può inoltre contribuire a ridurre inoltre lo sconforto legato allo sconfinamento della vita lavorativa in quella privata.

Creare un sistema di controllo qualitativo.

La digitalizzazione dei processi è un passo necessario per l’adozione dello smart working e per l’individuazione dei KPI, acronimo di key performance indicators, o indicatori chiave di risultato.

Il tempo di risposta alle mail, o di elaborazione di una pratica sono dei KPI semplici da individuare in uno studio professionale.

Smart working, giova ripeterlo, non è misurazione del tempo bensì misurazione dei risultati: appare naturale che senza un metro sia impossibile misurare alcunché.

Assistenza e formazione.

Il lavoratore in smart working acquisisce nuove abilità, una su tutti la gestione del tempo, affiancata, naturalmente, a nuove competenze digitali. È importante per lo studio professionale mettere a disposizione dei lavoratori una o più figure che possano assisterli in caso di problematiche informatiche.

Anche la formazione deve essere una costante, per contribuire a mantenere viva l’identità di studio e ricordare costantemente il ruolo centrale del cliente.

Se il lavoratore percepisce di essere abbandonato a sé stesso e si sente isolato, smette di essere una risorsa per lo studio. In conseguenza di ciò, anche il professionista smette di vederlo come una risorsa utile e valida, creando una spirale negativa che va a detrimento di tutti, incluso il cliente.

Adempimenti di legge.

È di fondamentale importanza, da ultimo, non improvvisare lo smart working, ma rispettare tutti gli adempimenti di legge richiesti.

Tre azioni per adottare lo smart working.

  1. Chiedere feedback ai lavoratori sulla loro esperienza in smart working, per identificare problemi o opportunità.
  2. Collaborare con tutti gli stakeholder interni, per definire processi e criteri di idoneità allo smart working.
  3. Nominare un capo o responsabile, oppure un consulente esterno per regolare lo smart working e spingerne l’adozione.

Lo smart working è uno strumento potente. È una rivoluzione che per alcuni comporta un profondo ripensamento e riorganizzazione dello studio, ma ha la potenzialità per portare a grandi, grandissimi risultati.

Questo articolo è anche una puntata del podcast. Ascoltala qui:
Ascolta “Come creare una policy di smart working nello studio professionale” su Spreaker.

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