Pagare i collaboratori per attività o per ore

Pagare i collaboratori per attività o per ore

Molti professionisti si chiedono, di tanto in tanto, se sia più giusto pagare i collaboratori per attività o per ore.

La premessa fondamentale è che, per quanto io rispetti profondamente i lavoratori subordinati, non penso che il lavoro subordinato, con stipendio fisso, orari fissi e giorni tutti uguali tra loro, possa continuare ad essere il modello di lavoro nel futuro.

Se impostato correttamente, il lavoro la cui retribuzione è basata sugli obiettivi può essere stimolante per il lavoratore e per il datore di lavoro.

Per determinare quali categorie di lavoratori possano trarre beneficio dalla retribuzione sulla base dei risultati si può fare riferimento a un libro che ritengo contenga molti spunti per il mondo del lavoro: “L’unica regola è che non ci sono regole”, di Reed Hastings, che divide le attività in due categorie.

Attività creative

Vi sono alcuni lavori, che Reed Hastings chiama “creativi”, che non beneficiano di bonus produttività o di altri meccanismi di ricompensa.

In uno Studio professionale, questi lavori sono quelli che riguardano ciò che io chiamo “Servizi generali”, cioè la gestione della compliance, del centralino, dell’onboarding clienti, la gestione delle risorse umane e altre attività di gestione generale dello Studio.

Attività operative

Le attività operative sono, invece, facilmente individuabili in uno Studio professionale e riguardano, ad esempio, la gestione dei clienti o lo svolgimento di adempimenti nello studio di un commercialista o di un consulente del lavoro, la redazione o la registrazione di atti in uno studio notarile, il patrocinio delle cause in uno studio legale.

I KPI od obiettivi

Una base per identificare le attività operative, misurare i risultati ottenuti e, quindi, determinare il compenso dovuto, sono i KPI, acronimo di Key Performance Indicators o indicatori chiave di prestazione, in italiano.

Un primo, semplice, approccio può essere legare il collaboratore al cliente, stabilendo una percentuale della fattura incassata dal cliente che può essere destinata alla retribuzione del collaboratore.

Tale percentuale può variare, in aumento o in diminuzione, sulla base di determinati fattori, come gli errori commessi, il rispetto delle scadenze, la soddisfazione del cliente.

Va da sé che, qualsiasi siano i KPI su cui deve essere misurata la prestazione, lo Studio deve essere improntato al lavoro per obiettivi. Non si può prescindere da ciò: saranno i collaboratori stessi a pretendere il monitoraggio e abbandoneranno lo Studio nel momento in cui si renderanno conto che il sistema non è funzionante.

Il minimo garantito

La frequenza di monitoraggio dei KPI deve essere definita: potrebbe essere su base mensile, trimestrale o annuale, e potrebbe variare il compenso del mese successivo, del trimestre successivo o dell’anno successivo, oppure dare origine al pagamento di bonus periodici.

Si potrebbe ipotizzare di stabilire un minimo garantito, che sia riassorbibile o meno in base ai risultati raggiunti, ma è qui che si pone la vera sfida: accettare un lavoro retribuito sulla base degli obiettivi è una scelta da fare in maniera ponderata, così come deve essere ponderata la scelta dello Studio che si approcci a questo metodo. Entrambe le parti in gioco, infatti, devono impegnarsi affinché il gioco valga la candela: il collaboratore deve impegnarsi e organizzare le proprie attività in modo da poter gestire al meglio il proprio lavoro e, di conseguenza, la propria retribuzione (senza per questo arrivare, in nessun modo, al burn out), mentre lo Studio deve impegnarsi a garantire una quantità di lavoro sufficiente al sostentamento del collaboratore.

Qui si aprono diversi scenari: il collaboratore ha l’esclusiva? Deve essere retribuita, quindi il minimo garantito è imprescindibile. Il collaboratore guadagna solo sulla base dei clienti portati? Deve essere aumentata la percentuale che resta in capo al collaboratore, a titolo di compensazione per l’attività commerciale. La parte commerciale è svolta congiuntamente dallo Studio e dal collaboratore? Deve essere previsto un compenso aggiuntivo per il cliente procacciato dal collaboratore.

Costi di struttura

Se i KPI sono il primo passaggio per determinare il quantum da versare ai collaboratori, il secondo passaggio è l’adozione di un attento controllo di gestione.

La percentuale da versare ai collaboratori, infatti, è strettamente legata alla copertura dei costi fissi di struttura, e varia sulla base delle attività svolte dalla struttura stessa: acquisto hardware e licenze software, disponibilità postazioni di lavoro e per il ricevimento dei clienti, servizi di segreteria e centralino, procacciamento clienti, comunicazione e marketing, amministrazione, recupero crediti.

Se non si ha ben chiaro quanto i costi di quanto sopra incidano sulla tariffa applicata al cliente e se non si monitora lo scostamento dai costi previsti, è difficile che un sistema di retribuzione sui risultati possa funzionare a lungo termine, soprattutto sulle attività che hanno margini risicati, come quelle contabili.

Se in una struttura con attività ad alte marginalità e attività a marginalità ridotte i costi fissi sono spalmati sulle une e sulle altre, con le prime che sopperiscono alla coperta corta delle seconde, in uno schema in cui i costi sono in parte variabili (i compensi dei collaboratori) e sono direttamente proporzionali alle entrate è necessario verificare che i costi fissi direttamente imputabili siano sempre contenuti entro i limiti prefissati, onde evitare di rendere insostenibili le attività a marginalità ridotte.

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