Come e perché rispondere al cliente

Come e perché rispondere al cliente.

Hai sempre la risposta pronta!

Insieme a “Questa casa non è un albergo” e “Se ti fai male, le prendi”, “Hai sempre la risposta pronta!” è una delle frasi che ha accompagnato i millennial negli anni dell’adolescenza.

Potrebbe essere giunto il momento di rivalutare quella frase, di darle un’accezione positiva in grado di salvarla.

Le richieste del cliente.

Sebbene sia spontaneo pensare che ciò che si fa sia semplice e scontato, così non è per il cliente, che si rivolge al professionista per un servizio o una consulenza.

Fornito il servizio o la consulenza, poi, il cliente potrebbe rivolgersi al professionista con una o più domande, chiarimenti, dubbi.

Arriva una mail, una telefonata, in alcuni casi un messaggio su WhatsApp.

A volte non si tratta di una singola richiesta, potrebbero essere due, tre, potrebbe essere un appuntamento settimanale, se non quotidiano: alcuni clienti sono più esigenti di altri, così come alcune persone sono più curiose, o meno ricettive.

Preso dalle incombenze quotidiane, il professionista legge la mail, visualizza l’anteprima del messaggio o guarda il nome della chiamata in arrivo lampeggiare sullo schermo dello smartphone e poi passa oltre, facendo cadere nel vuoto quella richiesta di aiuto o di assistenza, incasellandola nel terzo quadrante della matrice di Covey “urgente ma non importante”, quel quadrante in cui si parcheggiano tutti gli adempimenti che sono importanti per gli altri ma non per sé.

Il professionista si dimentica, il cliente viene dimenticato. Ignorato. Abbandonato.

Alla lunga, il cliente cerca altrove quella risposta che non ha ottenuto dal professionista che paga.

E l’abbandonato, il dimenticato, diventa il professionista.

Con buona pace delle hard skill conquistate con anni di studio, delle competenze tecniche, delle specializzazioni di nicchia.

Le risposte del professionista.

Sentitosi abbandonato, visto il turnover dei clienti, misurato il tasso di abbandono, il professionista può decidere di lavorare sulla soddisfazione del cliente, verificando se e quanto lasci le richieste dei clienti parcheggiate tra le cose da fare, o addirittura tra i “ma sì non importa” o tra i “non ho tempo”, senza che escano mai da lì.

Ecco allora che il professionista cambia registro, cambia atteggiamento, inizia a rispondere alle mail, ai messaggi e alle chiamate.

Lo fa di controvoglia, di fretta, il malcontento si palesa in ogni parola, ogni inflessione, nella lunghezza delle risposte.

Ancora una volta, non cambia niente.

Il cliente, insoddisfatto, cerca altrove e se ne va.

“Lavorare con il pubblico è estenuante”, “i clienti non sanno mai cosa vogliono”, “non capiscono niente e mi fanno perdere un sacco di tempo”.

C’è qualcosa che non va, e in qualche caso potrebbe anche essere il cliente, ma la responsabilità di far andare bene le relazioni, di fornire un servizio completo e di qualità non è certo sua.

Il cambio di prospettiva.

L’obiettivo primario del rapporto tra professionista e cliente deve essere la creazione di un rapporto di fiducia.

Non più, o non solo, competenze tecniche, ma relazione, vicinanza, soft skill.

In un mondo in cui il cliente-consumatore è abituato a scrivere sui social alle grandi marche e a ricevere risposta, in cui può chiedere il collegamento su Instagram all’autore di un libro, in cui può documentarsi su qualsiasi argomento con qualche click, le persone cercano persone, cercano un contatto umano, un calore che chi è in grado di dare può mettere al centro della sua unique selling proposition.

Il professionista che voglia davvero mettere un freno all’esodo dei clienti deve mettere questi ultimi al centro, creare un servizio plasmato su di loro, imparando che ogni richiesta di aiuto altro non è che un suggerimento a fare meglio.

Come rispondere?

Ad ogni richiesta occorre porgersi in maniera calma, assertiva, con un reale desiderio di aiutare, ignorando l’abitudine all’acredine che si è formata negli anni.

Il cliente che fa una domanda non cerca la risposta esaustiva immediata, cerca il riscontro celere e non spersonalizzato.

La risposta pronta, quindi, è necessaria, purché sia cortese e individualizzata.

Una prima tentazione potrebbe essere quella di rispondere in maniera frettolosa, senza dare la giusta attenzione, la giusta importanza al bisogno del cliente.

Di fronte ad una domanda difficile, può capitare di voler dare una risposta “secondo me” o “credo che”.

Di fronte ad una domanda scomoda, invece, potrebbe venire spontaneo mentire, magari per coprire una mancanza: questa è la seconda tentazione da cui fuggire.

La risposta pronta di cui ha bisogno il cliente è quella che rassicura, che promette una soluzione alle necessità, in un tempo determinato.

La risposta pronta è quella positiva, assertiva, confortante.

Il cliente ha bisogno di sapere che, in caso di bisogno, il professionista c’è, che la sua presenza e la sua parcella non sono solo promesse al vento.

La cultura.

Tutto quanto espresso sin qui non riguarda solo il professionista: riguarda tutto l’organico di studio, da chi sta in reception alla risorsa più anziana.

Tuttavia, è il professionista che può e deve impegnarsi a creare e rafforzare una cultura “aziendale” con il cliente al centro, monitorando la soddisfazione dei clienti e formando il personale affinché si prendano cura di essi.

In un mondo in cui tutti sanno tutto, in cui basta cercare su Google per avere le risposte, in cui il professionista è considerato una tassa da pagare, trovare clienti è difficile.

In una realtà sempre più complessa, più veloce, che si arricchisce di costi e responsabilità per il professionista, trovare i clienti è difficile.

Perderli per una risposta data male, o addirittura non data, però, resta sempre troppo facile.

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