Un capo non è necessariamente un leader e non tutti i leader sono capi di qualcosa.
Un capo è colui che, gerarchicamente, ricopre un ruolo in una posizione più elevata rispetto ad altri. Il suo obiettivo è far sì che le cose siano fatte.
Un leader, invece, punta a far crescere le persone, affinché raggiungano i risultati.
Cosa differenzia, quindi, l’essere leader dall’essere capo?
Un mix di soft skill che permette di essere più efficace nel comunicare, di essere più affidabile, di chiarire le aspettative, con il fine ultimo di far sì che venga fatta la cosa giusta.
Questo l’incipit di una interessante intervista a Jeff Nischwitz, esperto di leadership, per il podcast “Financial Management (FM) magazine”.
L’importanza del feedback.
Una necessità espressa spesso da coloro i quali si trovino a ricoprire posizioni apicali è quella di avere collaboratori coinvolti e motivati.
Coinvolgimento e motivazione nascono spontaneamente nelle persone quando queste sviluppano un collegamento emozionale con il proprio lavoro e, soprattutto, con le altre persone.
Il vero leader è colui che ha appreso come padroneggiare il set di soft skill necessario per stimolare le emozioni da cui scaturisce il coinvolgimento.
Un’abilità fondamentale a tale fine è quella di dare feedback, inteso sia come apprezzamento puntuale e costruttivo di ciò che le persone hanno fatto bene, sia come supporto per mettere in luce ciò che si sarebbe potuto fare meglio.
Le nuove generazioni che si stanno approcciando al mondo del lavoro hanno un sincero bisogno di sapere come stiano andando e cosa ci si aspetti da loro, oltre ad un genuino interesse nel conoscere le aree in cui possano migliorare, desiderose come sono di crescere e di creare il proprio personale piano di formazione.
Secondo Nischwitz, un modo per motivare le persone è illustrare loro dettagliatamente come abbiano positivamente influito su un avvenimento.
Un feedback ben costruito trasmette un senso di apprezzamento che permette di crescere, di sentirsi attivamente coinvolti ed utili.
Un suggerimento che dà per il caso del collaboratore che compia uno sbaglio, invece, è chiedergli in cosa sia andato bene, senza permettergli di focalizzarsi su cosa abbia sbagliato, passando successivamente ad analizzare il modo in cui sarebbe potuto andare ancora meglio.
Le domande mirate permettono all’interlocutore di prendere autonomamente coscienza delle proprie azioni e dei propri risultati, responsabilizzandolo e togliendo quell’aurea inquisitoria o di valutazione sulla propria idoneità o inidoneità.
L’autovalutazione diventa così un’abitudine che stimola le persone ad eccellere, a fare sempre meglio, anche in assenza del leader o di una persona preposta al controllo.
Sebbene l’istinto sia dire: “non ho tempo per queste cose”, il tempo impiegato per creare questo tipo di dialogo con i collaboratori deve essere visto come un investimento ad alto ritorno, in quanto in grado di generare una crescita della persona e dei suoi risultati.
L’assertività.
Sempre secondo Nischwitz, un’altra abilità che deve sviluppare qualsiasi persona che aspiri ad essere leader, o a consolidare il proprio ruolo di leader, è quella di pensare prima di parlare, così da epurare le proprie parole da emozioni quali rabbia o frustrazione.
Fare una breve pausa prima di parlare evita il successivo pentimento per aver detto qualcosa in preda alle emozioni, senza che diventi una maschera da indossare per essere più o meno accettati o più o meno autoritari.
Entra in gioco l’assertività, la capacità di dosare gestualità, tono della voce, espressioni e scelta delle parole, per comunicare in maniera efficace e stabilire limiti, obiettivi, priorità, aspettative.
Non è il caso, qui, di contare fino a dieci, o cento, né di lasciare la comunicazione sospesa per giorni, bensì il tempo necessario per prendere coscienza dell’emozione provata nel momento e di comunicare con l’altro in modo che ciò che arrivi sia il messaggio, non l’emozione.
La coerenza.
In ciò che il leader dice e fa, continua Nischwitz, c’è sempre anche un messaggio non intenzionale: colui che non dimostra coerenza tra parole ed azioni, infatti, comunica mancanza di credibilità e mina la fiducia delle persone nel leader. Anche una piccola azione può indebolire la leadership.
Anche Marco Rotondi, in un articolo su Neurosystemics del 2019, ha dato risalto all’importanza della coerenza nel comportamento del leader, individuandone tre aspetti.
La coerenza contemporanea è l’allineamento dei messaggi provenienti da tutte le fonti.
Il leader deve essere in grado di sintonizzare tutti i messaggi provenienti dall’azienda, siano fonti ufficiali o ufficiose.
Il secondo tipo di coerenza descritto da Marco Rotondi è la coerenza nel tempo.
La capacità di cambiare opinione è fondamentale in un processo di crescita personale e denota intelligenza, se è vero ciò che diceva Einstein, cioè che
“la misura dell’intelligenza è data dalla capacità di cambiare quando è necessario”.
La persona che si rifiuta di cambiare opinione appare rigida e ottusa, ma rinnegare oggi ciò che si è detto ieri è chiaro segno di mancanza di coerenza.
Il terzo tipo di coerenza di Rotondi conferma le parole di Jeff Nischwitz: la coerenza tra il dire e il fare.
Messaggi, proclami e decaloghi smentiti costantemente da azioni contrarie minano alla base la credibilità del leader ed alla lunga ne annullano il ruolo per mancanza di credibilità ed affidabilità.
L’influenza.
Se la capacità di influenzare le persone nell’adottare comportamenti virtuosi affinché facciano la cosa giusta in autonomia, allora le tre soft skills del leader di tipo comunicativo illustrate nei paragrafi precedenti sono le più importanti, quelle che permettono di stabilire un vero e proprio senso di appartenenza al gruppo in quanto guidato dal leader e supportato dalla riprova sociale.
Se vuoi approfondire il collegamento tra leadership e soft skill, nello specifico leadership ed intelligenza emotiva, ti consiglio la lettura di “Essere leader” di Daniel Goleman.