Di Alessia Avietti – Psicologa del lavoro e formatrice management e risorse umane
Tutti ci esprimiamo circa lo stress: anche semplici frasi descrivono con quanta frequenza ne parliamo: “questo periodo è particolarmente stressante per me”, “questa cosa mi sta dando stress”, pertanto non approfondirò il concetto di stress, rimandando chi vorrà farlo ai riferimenti presenti a fondo articolo.
Ma cos’è lo stress, in ambito lavorativo? Secondo la European Agency for Safety and Health at Work, lo Stress lavorativo consiste nella percezione di squilibrio avvertita dal lavoratore quando le richieste del contenuto del proprio lavoro (cosa faccio), dell’organizzazione (in che modo) e dell’ambiente (in quale contesto) eccedono le capacità individuali per far fronte a tali richieste.
Dagli studi dell’Agenzia Europea per la sicurezza e la salute sul lavoro emerge, già nel 2007, come lo stress interessi quasi un lavoratore su quattro, i dati dicono che tra il 50% e il 60% delle giornate lavorative perse è dovuto allo stress, con ricadute in termini non solo di disagio per il singolo dipendente, ma anche per l’organizzazione e più in generale sul versante del sistema economico.
I dati riportati a gennaio 2021 dall’Istituto Piepoli circa il livello di stress percepito dagli italiani ai tempi del Coronavirus raccontano di un’Italia che ha “subìto le conseguenze della pandemia incrementando di 10 punti percentuali il proprio livello di stress rispetto a quello misurato prima dell’emergenza”.
Viene da chiedersi se durante la pandemia i cambiamenti sul lavoro possano essere stati un ulteriore elemento di preoccupazione, di stress, e soprattutto come poterli gestire al meglio.
Come sappiamo, il lavoro da remoto, in tutte le sue sfaccettature, ha modificato in breve tempo le abitudini lavorative di molti di noi.
Ma cosa è cambiato nel concreto? Non tanto il contenuto intrinseco di quello che facciamo ma piuttosto il come: dall’organizzazione del lavoro proprio e dei propri colleghi sino all’ambiente in cui viene svolta l’attività. È facile comprendere come le persone si siano trovate di colpo, nel pieno di una tempesta sanitaria, a doversi riorganizzare l’attività e come questo possa essere stato, a sua volta, fonte di stress.
Sicuramente la dimensione particolare, nuova, che molti lavoratori hanno sperimentato è stata quella di conciliare e armonizzare vita privata e lavoro, in uno spazio fisico e di tempo in cui figli e coniugi sono spesso diventati compagni di scrivania, non senza difficoltà reciproche.
Una sorta di co-working che presto ha messo in luce le competenze che sono richieste per gestire lo stress lavorativo nella prestazione a distanza, in emergenza, ma anche in situazioni più ordinarie.
Di seguito un elenco di competenze che ritengo necessarie per lavorare bene da remoto, senza farsi vincere dallo stress, attivando quindi quelle risorse personali e organizzative che ci permettono di far fronte alle nuove situazioni lavorative. Capacità di stare in contatto: sia dal punto di vista informatico, sia empatico con i diversi interlocutori
· Autorganizzazione: rispetto a scadenze o lavori da svolgere, ma anche rispetto ai tempi/spazi da dedicare all’attività lavorativa e quelli da lasciare privati
· Scouting: più che mai è necessario saper trovare informazioni in autonomia, stare in ascolto delle novità che potrebbero interessare il nostro lavoro, perché spesso non avremo occasione di venirne a conoscenza, informalmente, durante una chiaccherata in pausa caffè
· Customer care: saper tenere al centro, come se lo si avesse davanti a sé, l’utente finale del nostro lavoro, che sia il nostro datore di lavoro o un collega, o ancora un cliente, magari uno di quelli meno simpatici
· Consapevolezza che si impara facendo: diventare uno smart worker significa imparare ad esserlo e per farlo serve tempo, resilienza di fronte alle difficoltà, capacità di definire con famiglia e stakeholder regole di collaborazione che ci aiutino a non arrivare a fine giornata esausti.
Avere a mente queste competenze ci permette di apprezzare il valore dello smart working.
Che differenza c’è quindi tra stress lavorativo in ufficio e a casa? La maggiore complessità sta nel fatto che collaboratore e datore di lavoro devono adattarsi ad una situazione nuova.
Gli elementi cardine sono l’organizzazione del lavoro a distanza, con processi di lavoro disegnati anche in questo senso e la fiducia sia da parte del datore di lavoro sia da parte del collaboratore.
Parlavamo di resilienza, appunto, intesa come la capacità di non farsi vincere dagli insuccessi iniziali ma saper sperimentare strategie nuove, per mantenere standard lavorativi apprezzabili.
Diversamente, lo stress può anche essere molto forte: senso di isolamento dall’ufficio, mancanza di comunicazione tra colleghi, invasione del tempo di vita personale, difficoltà di comprensione con gli interlocutori istituzionali, rallentamento nelle decisioni e negli output.
Saper armonizzare le quattro competenze dello smart worker ritengo sia la strada vincente per un sereno bilanciamento tra lavoro in presenza e da remoto. Non vi sarà di certo sfuggito come queste attenzioni non siano esclusivo onere del lavoratore ma un punto da presidiare anche da parte del datore di lavoro per lo sviluppo e il sostegno dei collaboratori.
Riferimenti
Selye, Hans, The Stress of life; McGraw-Hill (Paperback)