Gli strumenti necessari per lavorare in smart working: fuori e dentro l’ufficio.

Gli strumenti necessari per lavorare in smart working: fuori e dentro l’ufficio.

Nell’ultimo periodo abbiamo assistito ad un proliferare di guide relative ai diversi strumenti per lo smart working ed alle configurazioni dell’home office.

Il tipo di sedia, l’illuminazione, la stanza, ma anche gli orari stabiliti, l’abbigliamento, uniti a guide di Slack e Zoom hanno riempito riviste e siti web.

Avere questi strumenti e non usarli al meglio è come comprare l’automobile senza avere la patente: le linee sono accattivanti, i sedili sono comodi, il nostro status sale di livello nella percezione altrui, l’ego è soddisfatto.

Ma, resta un ma.

La macchina resta in garage, abbandonata, magari coperta con un telo. La tecnologia, un tempo all’avanguardia, diventa presto obsoleta. Si cerca un modo diverso di spostarsi, si continua a fare riferimento al mezzo di trasporto abituale e che non richiede la patente.

Perché cambiare è difficile, richiede impegno, richiede la capacità di riconoscere gli errori e di cambiare le proprie azioni per porvi rimedio.

Il metodo.

Avrei potuto farlo, ma ho deciso di non scrivere degli strumenti necessari per far funzionare lo smart working, perché sono tanti, e, spesso, quelli informatici derivano dalla scelta dei singoli professionisti, mentre quelli legati all’home office sono strumenti già in possesso dei singoli individui, magari acquistati sulla scorta di esigenze già riscontrate.

Ho deciso di focalizzarmi sul metodo, sulla centralità dell’organizzazione, sulla creazione di un ambiente di lavoro che non veda lo smart working come una concessione, ma come una modalità di lavoro parimenti accettata.

Gli estroversi, dopo il periodo di lockdown, attendevano il momento di poter tornare in ufficio, le allodole non hanno avuto alcun problema ad alzarsi presto per andare in ufficio, mentre introversi e gufi hanno fatto ricorso a tutte le motivazioni più logiche per supportare la richiesta di continuare con il lavoro da remoto: maggior bilanciamento tra vita professionale e personale, risparmio di tempo, concentrazione… ma la verità è che, nella comune percezione, gli interessi del dipendente non riflettono gli interessi dello studio.

Il senso di appartenenza.

Il lockdown, con la chiusura forzata della maggior parte degli studi professionali, ha dimostrato che si può andare avanti mesi anche senza un ufficio: se fosse la logica l’elemento motivante, ottenere una giornata di smart working alla settimana non dovrebbe essere difficile.

Eppure, manca negli studi professionali il metodo di organizzazione che permetta allo studio di crescere con un team in remoto.

Alcune realtà hanno più studi in diverse città e le differenze tra i diversi team sono spesso molto sentite: i gruppi di lavoro sono staccati, con pochi momenti di contatto, che spesso generano frizioni.

Un team non sa cosa faccia l’altro, a volte non ci si conosce, i metodi di lavoro stessi possono essere differenti.

La decentralizzazione dei collaboratori consente di creare un unico gruppo, quello remoto, in cui le metodologie di lavoro coincidono.

I momenti aggregativi sono veri strumenti di rafforzamento del team, per poter finalmente condividere un’esperienza con i colleghi di lavoro, togliendo la componente stressogena del lavoro, la lamentela, la fretta.

Formazione e comunicazione.

Il metodo di lavoro in smart working deve passare attraverso la formazione: uno studio professionale deve impegnarsi attivamente per formare i propri dipendenti a comunicare, tra colleghi e con i clienti.

I dipendenti che sanno comunicare in maniera efficace tra di loro sanno veicolare in maniera professionale le informazioni ai clienti, trasmettendo apertura ed autorevolezza.

Il professionista che vuole far crescere il proprio studio in maniera adatta all’imminente cambio generazionale ha l’obbligo di impostare il lavoro in modo che chiunque sappia cosa fare, allontanandosi sia dall’anarchia organizzata, in cui ognuno fa ciò che vuole come vuole, sia dall’impulso di voler controllare tutto ciò che avviene in studio, dalle mail ricevute al fornitore di carta igienica.

Lo studio professionale deve adottare una ingegnerizzazione dei processi, che restituiscano al cliente un output di qualità consistente e che al contempo permettano a tutti i collaboratori di sapere cosa devono fare ed a che punto del processo ci si trovi.

Gli strumenti dello smart working stanno tutti qui, non nelle riunioni in Zoom, non nella sedia comoda.

Stanno nell’affrontare la paura del cambiamento: sconfitta quella, lo smart working diventa un metodo di lavoro che, come l’avvento dei computer negli anni ’90, porta semplificazione e aumento della produttività.

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