Un temporary innovation manager anche per lo studio professionale?

Luca Baiguini consulente.pro

Dotato di grande senso etico e di obiettività, il temporary manager deve al contempo essere leader, coach, un buon comunicatore ed un ottimo problem solver.

Se le competenze tecniche, grazie ad Internet ed al sempre maggior accesso all’istruzione, sono più facilmente acquisibili che in passato, il vero valore del temporary manager risiede nella combinazione delle soft skills di cui è dotato.

L’innovazione digitale accelera ogni anno, le aspettative dei clienti, che possono accedere alle informazioni grazie ad Internet, sono sempre più elevate, il contesto socioeconomico è in costante mutamento e le risorse che si inseriranno nel mondo del lavoro sono sempre meno inclini a legarsi per tutta la vita ad un singolo posto di lavoro: tutto è temporary, veloce, richiede chiarezza di visione e capacità decisionale.

Il temporary manager, in quest’ottica, si inserisce in un’organizzazione, lo studio professionale, per restituire tempo al suo cliente, il professionista titolare di studio, che ha bisogno di competenze variegate e in costante mutamento.

Un buon temporary manager ha ricoperto più ruoli in diverse organizzazioni ed ha fatto il passaggio mentale dalla vendita del proprio tempo alla vendita delle proprie competenze.

Questo professionista, infatti, dichiaratamente non interessato a posti di lavoro a tempo indeterminato, è motivato e fortemente intenzionato a lavorare su progetti sempre nuovi, ha un grande desiderio di trasmettere conoscenza e di raggiungere gli obiettivi.

Il Ministero dello Sviluppo Economico ha promosso la nascita e la crescita della figura dell’innovation manager per le PMI, un professionista in grado, grazie alle proprie competenze, di portare in azienda “trasformazione tecnologica e digitale, ammodernamento degli assetti gestionali e organizzativi”.

Se è chiaro a tutti come gli studi professionali si stiano sempre più trasformando in micro e piccole imprese, meno chiaro, forse, è come la figura dell’innovation manager possa essere utile anche al di fuori del contesto aziendale, all’interno di uno studio professionale.

L’innovation manager, aderendo al modello promosso dal voucher destinato alle PMI, opera in modalità temporary, o fractional: dopo una valutazione dello status quo, identifica le aree che più necessitano di innovazione e compie le azioni necessarie a rendere effettivo il cambiamento desiderato.

È proprio l’innovazione, il cambiamento, ciò di cui hanno bisogno gli studi professionali, per evitare di trovarsi presto ad essere modelli superati di lavoro, disconnesso dallo standard del mondo del lavoro e dalle aspettative dei clienti e degli altri stakeholder.

Usando le parole di Giuseppe Truglia, già presidente CFMt e già presidente Manageritalia Milano, dopo una crisi occorre “generare strategie reattive che vanno oltre il taglio dei costi che si è dimostrato esclusivamente una mossa tattica incapace di risolvere il fabbisogno di innovazione”. “[…] Il ricambio generazionale è stato accelerato dalla crisi e trova solidi riferimenti nei giovani e nelle donne con competenze difficilmente imitabili in campo economico, etico-relazionale e socio-ambientale”.

Il temporary manager che si inserisca in uno studio professionale per apportare innovazione e cambiamento deve avere necessariamente ben presente quali siano le dinamiche degli studi, apportando la giusta dose di mentalità aziendale, senza voler rompere quell’equilibrio peculiare che esiste tra professionista e collaboratori: deve essere in grado di ascoltare i diversi punti di vista ed accrescere il senso di appartenenza e la motivazione dei dipendenti. I membri di uno studio professionale, intrinsecamente estranei ad una figura manageriale, devono vedere in questo soggetto un leader, che ispiri le persone e sia portatore della coesione nel team; tenendo sempre presente che si inserisce in un contesto a maggioranza femminile, il temporary manager deve coltivare le sue doti di empatia ed assertività.

Come una via di mezzo tra un professionista e un’azienda, il temporary manager deve costantemente sviluppare hard e soft skill per venire incontro alle peculiari necessità dei professionisti, che potrebbero non essere in grado di identificare le cause scatenanti dei malfunzionamenti dello studio o dei malumori di dipendenti o, addirittura, dei clienti: le competenze sono la forma del prodotto che vende questo professionista, ma la sostanza venduta è il tempo.

Pena l’obsolescenza, il temporary manager dedica una buona parte del suo tempo alla formazione, così da poter essere rapidamente efficace poco dopo l’ingresso in uno studio. Diventa suo, quindi, l’onere di studiare e di focalizzarsi su materie che servono al professionista-imprenditore, sgravandogli il tempo da una fonte di stress e distrazione.

Il tempo è infatti l’unica risorsa veramente limitata per tutti, che scatena ogni minuto la guerra dell’attenzione: la mail, il social network, l’adempimento, il dipendente, l’aggiornamento professionale, i figli, l’amministrazione dello studio, in una commistione sempre più labile tra vita privata e vita lavorativa, a livelli fino a 10 anni fa inimmaginabili anche per i liberi professionisti.

Il tempo è la merce di scambio tra temporary manager e professionista: il primo mette il suo a disposizione del secondo, affinché questi abbia la possibilità di concentrarsi sulle competenze di valore proprie della sua professione.

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