Durante il periodo di lockdown, chi ha potuto usufruire dello smart working ha avuto modo di vivere per qualche settimana la vita del libero professionista.
Mi piace paragonare questo cambio di marcia a ciò che accade nel passaggio dalla scuola all’università.
La scuola, da quella dell’infanzia a quella superiore, è improntata su una logica di presenza in orari determinati, con un calendario preimpostato ed una o più persone che accompagnano per mano gli studenti verso la fine dell’anno e l’inizio di quello nuovo. Se si è sempre presenti e si resta quantomeno sulla sufficienza, si è in grado di passare alla classe successiva.
L’università, specie se affrontata da non frequentanti, invece, è una rivoluzione. Ci si trova tutto ad un tratto a doversi gestire. La maggior parte degli italiani a 19 anni vive ancora in famiglia, quindi la responsabilizzazione portata dall’università è un primo salto nel mondo degli adulti.
All’università si scelgono gli esami, se ne stabilisce l’ordine, ci si impone un programma di studio e se non si studia non si passano gli esami e non si va avanti.
Passare dalla classica impostazione di lavoro 9-18 allo smart working è come passare dalla scuola all’università.
Questo presuppone un cambio di mentalità, sia dal lato dei capi, sia dal lato dei dipendenti.
Il capo, che sia il titolare di uno studio professionale o che sia un manager, deve spostare il suo focus da quello del controllo visivo a quello dell’organizzazione del personale, impostando obiettivi e creando un canale di comunicazione aperto e diretto con le persone, per valutare periodicamente il raggiungimento degli obiettivi prefissati.
Il dipendente, dal canto suo, deve fare uno switch ed uscire dalla logica della separazione vita privata / vita lavorativa, spostandosi in un’ottica di bilanciamento tra le due.
Tutti i liberi professionisti hanno ben chiaro questo concetto: essere liberi di gestire i propri orari significa poter prendere una pausa per svolgere una faccenda personale in quello che è considerato orario lavorativo, ma significa anche dover lavorare in orari inconsueti, come la mattina presto, la sera tardi o il weekend.
Amalgamare vita privata e lavorativa significa caricare la lavatrice mentre si è al telefono con qualcuno, significa concentrarsi su un progetto alla mattina all’alba perché ancora non suonano telefoni e notifiche varie, significa fare tardi la sera davanti al computer perché si è completamente nel flow ed iniziare un pochino più tardi il giorno dopo per recuperare la tirata.
Uno dei risvolti dello smart working, e del pensare da libero professionista, è il diventare imprenditori di se stessi.
Occorre fare quel ragionamento che hanno fatto tutti i freelance al primo incarico, ossia capire se si stia vendendo il proprio tempo o le proprie abilità.
Nel vendere il proprio tempo, che è la risorsa più preziosa in quanto l’unica davvero finita ed uguale per tutti, il prezzo è solitamente tirato al ribasso da parte del datore di lavoro.
Nel vendere le proprie abilità, che sono uniche ed irripetibili per ciascuna persona, in quanto frutto di esperienze, studio ed attitudini, il prezzo può essere deciso dal lavoratore.
Il tempo per il cosiddetto “commute”, cioè il viaggio casa-lavoro e ritorno, per fare un esempio, è un fattore che non viene mai preso in considerazione.
Se un contratto standard prevede la retribuzione per otto ore di lavoro, bisogna tenere in considerazione che anche il tempo dedicato alla pausa pranzo ed allo spostamento è impegnato per il lavoro. Qualora si lavorasse da casa, invece, questo tempo potrebbe essere dedicato ad altro. Quindi, le ore che si vendono lavorando in ufficio sono almeno dieci al giorno, se il tragitto quotidiano è breve e la pausa pranzo è di un’ora.
Lavorare da casa permette di occupare quelle ore in più per riposarsi, per fare una colazione più equilibrata di un cappuccino e brioche, per dedicare del tempo allo yoga.
Il passo in più verso l’essere imprenditori di se stessi è dedicare il guadagnato tempo e la flessibilità alla propria formazione, incrementando le proprie abilità e passando dal vendere il proprio tempo a vendere le proprie abilità, esattamente come un libero professionista.
Dalla responsabilizzazione ne guadagnano tutti: il manager che ha un team più motivato e maturo e il dipendente, che ha la possibilità di gestire efficacemente anche la vita privata.