Smart working: gli strumenti che servono non sono quelli che pensi

Gli strumenti necessari per lavorare in smart working: fuori e dentro l’ufficio.

Gli strumenti smart working sono diventati protagonisti di articoli, guide e webinar. Le discussioni spaziano dalla sedia ergonomica al microfono, dalle luci giuste per le call fino all’ultimo tutorial su Slack o Zoom. Eppure, c’è un dettaglio che spesso viene ignorato: nessuno strumento ha valore, se manca un metodo che lo renda utile.

Possiamo acquistare un’auto sportiva, bella, veloce, costosa. Ma se non abbiamo la patente, resterà ferma in garage. Magari la copriamo con un telo, la guardiamo con soddisfazione, la mostriamo agli amici. Ma non la useremo mai. Allo stesso modo, molti studi professionali hanno investito in strumenti digitali senza cambiare il modo in cui lavorano. La tecnologia invecchia in fretta. E chi non impara ad usarla, si rifugia nelle vecchie abitudini.

Cambiare è faticoso. Richiede intenzione, non solo strumenti. Richiede organizzazione, non solo connessioni. E soprattutto, richiede una cultura che non veda lo smart working come una concessione, ma come una modalità legittima e strutturata di lavorare.

Il metodo è lo strumento più sottovalutato

Non farò l’elenco dei migliori strumenti smart working. Non perché non siano importanti – lo sono – ma perché senza metodo, anche il miglior software diventa una trappola.

Il vero tema è la costruzione di un’organizzazione che funzioni anche a distanza. Dove i processi siano chiari, le responsabilità distribuite, la comunicazione pensata. Dove lo smart working non sia “lavorare da casa” ma “lavorare in modo sensato, efficiente e sostenibile”.

Smart working e senso di appartenenza.

Molti studi, dopo la pandemia, hanno permesso ai collaboratori di lavorare un giorno alla settimana da remoto. Ma spesso è una concessione, non un cambiamento reale. Mancano regole condivise. Mancano momenti di confronto. Mancano strategie per mantenere un senso di appartenenza anche senza la presenza fisica.

Alcune realtà hanno più studi in diverse città, e le differenze tra i team sono spesso molto sentite: i gruppi di lavoro sono separati, con pochi momenti di contatto, che a volte generano frizioni.

Un team non sa cosa faccia l’altro, a volte non ci si conosce nemmeno, e i metodi di lavoro possono essere molto diversi.

La decentralizzazione dei collaboratori permette invece di creare un unico gruppo: quello remoto, in cui le metodologie coincidono, si consolidano e diventano condivise.

In questo contesto, i momenti aggregativi diventano strumenti veri di rafforzamento: occasioni per condividere esperienze, ridurre la distanza relazionale e mettere da parte la componente più stressante del lavoro – la fretta, la lamentela, la frizione quotidiana.

Comunicazione, processi e formazione: i veri strumenti dello smart working

Il metodo di lavoro in smart working passa necessariamente attraverso la formazione. Uno studio professionale deve impegnarsi attivamente per formare i propri collaboratori alla comunicazione, sia interna che esterna.

Chi sa comunicare bene con i colleghi, sa farlo anche con i clienti: le informazioni arrivano in modo professionale, trasmettendo apertura, autorevolezza, fiducia.

Un professionista che vuole far crescere il proprio studio in vista del cambio generazionale ha una responsabilità precisa: organizzare il lavoro in modo che ciascuno sappia sempre cosa fare, evitando due estremi pericolosi. Da un lato l’anarchia organizzata, dove ognuno fa a modo suo. Dall’altro, l’ipercontrollo, dove tutto passa dal titolare – dalle mail in arrivo al fornitore di carta igienica.

Serve una vera e propria ingegnerizzazione dei processi, capace di garantire output di qualità costante per il cliente e, allo stesso tempo, una mappa chiara del lavoro per i membri del team: chi fa cosa, quando, come.

Gli strumenti dello smart working non si trovano su Zoom, né si riducono a una sedia comoda

Stanno altrove. Stanno nella capacità di affrontare il cambiamento. Perché è solo superando quella paura iniziale che lo smart working smette di sembrare una concessione e diventa un metodo di lavoro maturo, che, proprio come accadde con i computer negli anni ’90, semplifica, migliora, accelera.

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