Come organizzare lo smart working all’interno dello studio professionale.

Come creare una policy di smart working all’interno dello studio professionale.

Durante il lockdown, quello che molti hanno chiamato “smart working” era in realtà telelavoro di emergenza, improvvisato e poco strutturato. Il lavoratore si è dovuto adattare, trasferendo le dinamiche d’ufficio in ambienti casalinghi spesso inadatti, privi degli strumenti e dei ritmi necessari.

Questo modello, più che smart working, è telelavoro. Il vero smart working per professionisti è tutt’altra cosa: un modello organizzativo basato su responsabilità, autonomia, obiettivi chiari e comunicazione efficace.

Il passaggio da un controllo visivo a una gestione per risultati è una rivoluzione culturale. Vediamo come strutturarlo davvero.

Smart working per professionisti: gli elementi da valutare.

Mappatura dei processi.

In inglese, ciò che gli italiani chiamano “smart working” è definito più onestamente work from home.

Il titolare italiano – sia esso manager o professionista – tende ancora a valutare il lavoro in base alla presenza fisica.

Ma il vero smart working per professionisti sposta il focus: non più tempo impiegato, ma qualità dei risultati.

Serve quindi una mappatura accurata del lavoro, che tenga conto di carichi, attitudini, tempi e strumenti.

Idoneità.

Ogni ruolo va analizzato in relazione alla sua possibilità di essere svolto da remoto. Alcuni esempi:

  • Il titolare (es. notaio) ha obblighi di presenza.

  • La risorsa in reception, con un’agenda strutturata, può invece svolgere parte del lavoro a distanza.

  • Chi ha bambini piccoli, ambienti inadatti o poca dimestichezza digitale può non essere nelle condizioni ideali.

Le condizioni personali sono parte integrante della valutazione.

Comunicazione con il team.

Se nelle aziende il problema erano le troppe riunioni virtuali, negli studi il disagio opposto: assenza di momenti di confronto.

Serve un sistema per mantenere il team allineato e connesso, anche in forma leggera e spontanea. Questo compito può essere affidato al titolare o a una persona dedicata.

I collaboratori più giovani o meno esperti hanno bisogno di feedback frequenti. Ma questo vale per tutti: lasciare il team a sé stesso non funziona, neanche nei contesti più autonomi.

Comunicazione con il cliente.

Chi lavora in smart working ha diritto alla disconnessione.

Ma deve esserci anche una fascia oraria di reperibilità, concordata: 2–3 ore al mattino, altrettante al pomeriggio.

Va evitata la presunzione di contattabilità continua: lavorare la sera non autorizza a disturbare gli altri.

Molti lamentano di dover condividere il numero personale, senza cellulare aziendale. Soluzioni come il VOIPpermettono di rispondere alle chiamate del numero di studio da ovunque, senza invadere la propria privacy.

Questa modalità di lavoro diventa concretamente applicazione dell’acronimo ATAWAD: Anytime, Anywhere, Any Device.

Redistribuzione della ricchezza.

Lo smart working fa risparmiare allo studio: meno postazioni, meno bollette, meno logistica.

Ma il lavoratore ha costi aggiuntivi: energia, attrezzatura, connessione.

Redistribuire parte di quel risparmio – sotto forma di buoni pasto, incentivi, contributi per l’home office – può migliorare il benessere e ridurre il senso di isolamento.

Un piccolo sostegno economico, se ben comunicato, fa cultura interna.

Creare un sistema di controllo qualitativo.

Senza KPI, nessun controllo è possibile.

Lo smart working si basa su misurazione dei risultati, non sulla presenza.

I KPI – key performance indicators – vanno scelti con cura: tempo medio di risposta a una mail, durata di una pratica, precisione, tempestività.

La digitalizzazione dei processi è la condizione necessaria.

Assistenza e formazione.

Chi lavora da remoto acquisisce nuove competenze: gestione del tempo, uso di tool digitali, maggiore autonomia. Ma serve supporto tecnico (assistenza informatica, help desk) e formazione continua.

Formare e affiancare le risorse significa preservare la cultura di studio, anche a distanza.

Un lavoratore isolato smette di sentirsi parte. E se il professionista lo percepisce come assente, si rompe la fiducia.

Adempimenti di legge.

Lo smart working non si improvvisa. Richiede atti formali, accordi, policy scritte e conoscenza normativa.

Chi guida un team deve sapere come strutturare un contratto di smart working, quali sono gli obblighi e i margini di flessibilità.

Tre azioni per adottare lo smart working.

  1. Chiedere feedback ai lavoratori: raccogliere esperienza diretta, ascoltare criticità, individuare soluzioni.
  2. Collaborare con gli stakeholder interni: costruire insieme criteri e flussi, evitando decisioni unilaterali.
  3. Nominare un referente per lo smart working: può essere interno o esterno, ma serve una figura di coordinamento.

Lo smart working per professionisti è un cambio di paradigma.

Non è solo una nuova modalità di lavoro: è un nuovo modo di essere studio, di fidarsi, di funzionare meglio.

Questo articolo è anche una puntata del podcast. Ascoltala qui:
Ascolta “Come creare una policy di smart working nello studio professionale” su Spreaker.

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