Nudge è una parola che potrebbe essere tradotta come “spintarella gentile”.
Nudge è il gesto delicato che compiono le madri, umane e animali, quando incoraggiano i propri piccoli a camminare in una direzione: un tocco delicato, che porta all’azione.
Nel 2009, Richard Thaler, economista e vincitore del premio Nobel per l’Economia Comportamentale nel 2017, e Cass Sunstein, giurista, hanno elaborato la cosiddetta Teoria dei Nudge, per identificare quei comportamenti che spingono le persone, in maniera gentile, a compiere determinate azioni.
Nella quotidianità.
Uno degli esempi di più immediata comprensione, quando si parla di nudge, è quello delle notifiche sui vari smartphone ed app.
Ormai entrati a far parte della nostra quotidianità, i pallini rossi che indicano una qualche novità ci spingono ad aprire un’applicazione e controllare cosa ci sia di nuovo, nella speranza di un qualcosa di interessante.
Potremmo non farlo, il telefono (o computer) continuerebbero a funzionare, eppure, il più delle volte senza neanche pensarci, siamo portati a premere sul pallino rosso.
Vi sono diversi tipi di nudge, quelli che fanno accadere un qualcosa se non compiamo un’azione (inizi a pagare l’abbonamento se non disdici almeno 24 ore prima della fine del periodo di prova), oppure quelli che ci spingono a compierne una, come quei sistemi ci impediscono di usare password troppo semplici e ci chiedono una maiuscola, una minuscola, un numero, un carattere speciale, una giravolta, un’altra volta, guarda in su, guarda in giù, dai un bacio a chi vuoi tu.
Nudge al lavoro.
Tutte le scelte che si compiono in ambiente lavorativo comportano delle conseguenze, siano esse volute oppure no.
Anche la creazione di una cultura aziendale, sfruttando il famoso principio della riprova sociale, spinge le persone a comportarsi in un certo modo.
Gli uffici open space, ad esempio, nascono come tentativo di migliorare la collaborazione e la condivisione delle informazioni, e ragionamenti sull’obiettivo potrebbero essere fatti per l’adozione delle divise o per i corsi di formazione sulla negoziazione o sulla gestione del tempo.
Per creare la lampadina, Edison ha fallito molte volte. Così è normale che alcuni tentativi siano andati male: tutti abbiamo esperienze di iniziative di studio che non hanno funzionato, open space con persone isolate da cuffie per evitare il rumore di fondo, aree break in cui le persone si sarebbero dovute ricaricare e in cui invece finivano per passare troppo tempo, persone messe insieme in una stanza perché fossero più serene e che hanno creato un clima divisivo rispetto agli altri.
Cambiare un qualcosa che è andato storto, creare una nuova cultura è possibile, talvolta anche cambiando un qualcosa di molto piccolo.
“I dipendenti si lamentano sempre”; “vieni da me con le soluzioni, non con i problemi”; “i clienti non capiscono un’acca”: ecco tre delle frasi più pronunciate negli ultimi decenni in ambito lavorativo (per ovvie ragioni, l’ultima è stata edulcorata).
Nella realtà, le persone sono in grado di percepire che ci sia un qualcosa che non va, ma non sempre sono in grado di capire cosa si possa cambiare per migliorare la situazione – a volte, non si sentono neanche legittimate nel proporlo.
Ecco che, quindi, può tornare utile sfruttare quella teoria dei nudge elaborata da Thaler e Sunstein.
Nudge all’interno dello studio.
Individuati i problemi interni, il nudge management permette di favorire alcuni comportamenti modificando piccolezze apparentemente insignificanti.
Tornando al discorso delle notifiche, ad esempio, la modifica dell’impostazione delle stesse potrebbe, a seconda del risultato desiderato e del settaggio applicato, favorire la concentrazione, diminuendone la frequenza, oppure favorire la reattività agli input dall’esterno, magari duplicando la notifica sul telefono e sul computer.
Un altro esempio di nudge management potrebbe essere quello premiale, che assegna premi o bonus al rispetto di determinati comportamenti o al raggiungimento di determinati risultati.
Un terzo esempio di nudge, già accennato nelle precedenti righe, è il cambiamento di disposizione delle postazioni di lavoro, o della configurazione delle aree break, per favorire, a seconda dei casi, la cooperazione di alcune persone, o la socializzazione tra gruppi separati.
Nudge all’esterno dello studio.
Nella quotidianità lavorativa, molto tempo viene perso perché i clienti non forniscono i documenti o le informazioni richieste.
Il nudge management, applicato all’esterno, dà il giusto metodo per ottenere ciò che serve, quando serve.
Moduli, mail e documenti, appositamente studiati e costantemente aggiornati sulla base dell’efficacia, possono davvero ridurre le frizioni tra l’esterno e l’interno e far risparmiare un sacco di tempo.
Al momento del pagamento, poi, i clienti spesso non hanno le coordinate o non si presentano con un assegno o con i contanti (nel limite di quanto possibile per legge), con il risultato che una o più risorse dello studio si trova a rincorrere i clienti per il recupero crediti.
Un giusto nudge potrebbe essere indicare i metodi di pagamento in una mail di conferma dell’appuntamento, o nella documentazione inviata per la raccolta documenti. Un altro nudge, di natura strettamente commerciale, consiste nel chiedere al cliente, una volta presentatosi in studio, se intenda pagare tramite bonifico o pos (ad esempio), indirizzando la scelta e facendo diminuire la possibilità che il cliente opti per “la prossima volta”.